When the Waves Are Gone

di Lav Diaz

Un noir che diventa attacco politico frontale, un teorema del doppio e del male come contagio in cui l’immagine è ancora innesco per un’epifania, custode del Sacro. Tra i capolavori di Lav Diaz.

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Due corpi immersi nel nero, in quell’oscurità così intensa che appartiene ai confini del territorio stellare, spazio profondo, zero assoluto, la luce un lontano ricordo. Il confronto finale di When The Waves Are Gone vede due personaggi opporsi sulla riva del mare, in piena notte, e le immagini riprese in pellicola offrono quel genere di presenza-in-assenza a cui il nostro sguardo digitale non è più abituato, quel buio che pulsa e sconfina e assale i bordi, quasi inspiegabile nel suo peso specifico. Solo esserci lì dentro, conservare le proprie linee di confine intatte, è un esercizio di resistenza. La disgregazione del corpo come tenuta dello spirito, del proprio rigore morale, mentre tutt’attorno il nero si agglutina grumoso e corrode, offusca, colma pori e orizzonte.
Il duello oppone maestro e allievo, carnefice e giustiziere, ma i ruoli sono in realtà mescolati, l’orrore del contesto politico, della crisi etica e giudiziaria suscitata dal Presidente Rodrigo Duterte non permette divisioni manichee. Solo compromissioni e patteggiamenti insanabili; altrimenti l’epifania, la comprensione cui segue il sacrificio, al termine della notte. Perché i due sono detective, i migliori delle Filippine, ed è dal 2016, anno di elezioni, che Duterte mutila il proprio paese con squadroni della morte, strumenti di una campagna giustizialista condotta attraverso poliziotti e militari contro il traffico di droga e l’intero sistema che lo abita. Abbondano i morti per le strade, gli avvisi lasciati dai commando, le esecuzioni sommarie.

Con When The Waves Are Gone Lav Diaz realizza uno dei suoi film migliori, tra i più potenti di questi anni; un noir duale che affonda nel teorema del doppio e disseziona l’animo nel momento in cui avviene il contatto col male, il principio di connivenza, la colpa. Le tappe della trama poliziesca si espandono in un percorso di tre ore che sfrutta l’immagine cinematografica, nella sua durata e intensità, per sondare le psicologie dei due antagonisti, con uno scavo che sfiora baratri di follia tra procedure battesimali e formaldeide, sfaldamento del corpo e delirio. Da una parte la vendetta, l’assenza apocalittica di senso che cerca una salvezza tra i frammenti del mondo, quel che resta tra le sue rovine di rituali religiosi e contatto umano; dall’altra la coscienza che sorge e comprende la sua complicità e vicinanza al nero, con il corpo che riflette l’epifania disgregandosi tumefatto da una violentissima psoriasi, correlativo oggettivo del male come contagio. Il confronto tra i due si risolve dentro un’oscurità così essenziale che anche l’alba al suo arrivo sembra non avere più forza, un simbolo svuotato di significato.

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La luce irrompe nel finale del film con uno stacco impossibile, dalla notte al giorno nel tempo di un campo-controcampo, e genera un effetto paradosso, abbacina corpi a terra e senza speranza. Ma la luce, ci ricorda Lav Diaz, è già dentro l’immagine, intrinseca alla sua natura. When The Waves Are Gone può attaccare con ferocia e denunciare senza remore la politica terroristica di Duterte, e comunque chiudersi nel nero assoluto, perché è nello sguardo in quanto tale che sussiste la forza politica del cinema, nel suo esserci davanti a noi, nel nostro esserci a guardare lui. Tutt’altro che cinico o arreso, Diaz crede ancora nel potere dell’immagine, nella palingenesi che nasce quando il cinema osserva e restituisce l’orrore, trovando nello sguardo gli anticorpi di un sistema immunitario altrimenti prossimo al collasso. Il film e il percorso di Hermer Pauparan infatti, il detective costretto a confrontarsi con il doppio per espiare le sue colpe, nascono dalla visione di una fotografia, uno scatto che ritrae alcune delle tante vittime della guerra di Durante restituito da una composizione formale che a Pauparan ricorda la Pietà michelangiolesca. Dopo aver visto la foto inizia un risveglio morale che scarica sul corpo le scorie dell’animo, apre ferite in suppurazione. Perché anche in mezzo all’orrore la bellezza dev’essere un punto di vista sul mondo, e l’immagine vive come dispositivo d’innesco, custode del Sacro.

Autore: Matteo Berardini
Pubblicato il 20/09/2022
Filippine, Danimarca, Portogallo, Francia 2022
Regia: Lav Diaz
Durata: 187 minuti

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