Lecce 2013 / Day 3

In Concorso, due visioni al femminile: due registe, entrambe francesi: Catherine Corsini – alle spalle trent’anni di regia fra corti, lungometraggi e TV –, presente al festival con Three Worlds (Trois mondes), e Sylvie Michel con Our Little Differences (Die feinen Unterschiede), la sua opera prima dopo vari cortometraggi a partire dagli anni Novanta.

A muovere il primo dei film è un classico dramma della quotidianità. Un uomo investe con la sua auto un altro, lasciandolo sulla strada. In realtà erano tre in macchina, reduci da una serata ad alto tasso alcolico, i party di addio al celibato di chi vede ora la sua vita improvvisamente capovolta, dalla festa alla tragedia. Infatti Al sta per sposare la figlia del suo capo, lambisce i vertici di un’azienda che sarà sua a breve. Ha tutto e, nel timore di perdere tutto, scende dall’auto, sembra voler aiutare la vittima ma ha paura, rientra in macchina e scappa. Sull’asfalto lascia un clandestino moldavo ma non può ancora saperlo. Intanto una donna, Juliette, dalla sua finestra ha visto la dinamica dell’incidente (tranne targa e modello del veicolo…), corre in strada e chiama i soccorsi. E’ testimone dell’accaduto, racconta tutto alla polizia e diventa amica di Vera, moglie del malcapitato, anche lei clandestina. Ma Al non dorme sonni tranquilli, e tra crisi e rimorsi, distrutto dal senso di colpa, oltrepassa la soglia dell’ospedale e incontra Vera, che lo riconosce. La donna però non lo denuncerà. Destini incrociati in questa storia. Come direbbe Sorrentino, “hanno tutti ragione” o, meglio, come disse Renoir nella Règle du jeu, “tutti hanno i loro motivi”. Massima registica che ama ricordare la Corsini: “Il film è basato su questo principio. Tutti i personaggi hanno i propri problemi, un proprio conflitto”. Ed eccoli i tre mondi del titolo, così estranei, così lontani, come spiega ancora la regista: “Al è la cultura della società, Juliette personifica la parola, il pensiero e Vera, a cui tutto viene negato, rappresenta il mondo illegittimo”. Nel mezzo il tormento, il dubbio, la paura, l’egoismo e soprattutto la necessità e l’imperativo di una scelta, che può essere altra da quella (dall’unica) moralmente giusta, perché proprio qui vuole essere la sostanza del film, che si propone essenzialmente come riflessione sulla responsabilità personale, o meglio sulle irreversibili conseguenze che le scelte individuali possono avere sugli altri. La Corsini cerca di inserire tensione e thriller in un crocevia di dramma psicologico e ritratto corale, come a voler inseguire più punti di appoggio, più sponde e rimbalzi fra le motivazioni, le parole, i gesti, le fughe e i ritorni dei personaggi, in maniera tale da poter far coincidere tutto, poi, in una geometria perfetta. Ma alla fine l’impressione più insistente è che pur sapendo tutto dei personaggi e della storia a mancare forse è ciò che più conta, il film.

L’essere diversamente genitori, invece, in Our little differences. Berlino. Da una parte Sebastian, un medico cui nulla manca, professione, riconoscimento sociale, e un figlio, Arthur, con il quale ha un rapporto amicale fatto di grande concessioni e libertà. Dall’altra la sua colf Jana, bulgara, anche lei con una figlia, Vera, ma legata a lei da un rapporto molto diverso; la controlla e monitora di continuo. Ma i due metodi genitoriali, all’improvviso, devono confrontarsi e anche duramente. I due ragazzi escono insieme con un’amica e, quando la mattina dopo Jana si accorge che non hanno fatto rientro, lancia l’allarme. Il dottor Sebastian prova a tranquillizzarla ma quella leggerezza le scatena una reazione imprevista, fino a vomitargli addosso tutto quello che pensa del suo modo di fare libertario. L’esplosione delle reciproche, e non proprio piccole, differenze era stata solo rimandata. “Sebastian e Jana sono due poli opposti – spiega la Michel – però allo stesso tempo sono simili, nel senso che hanno entrambi una visione distorta del mondo. Alla fine saranno l’uno accanto all’altro per confrontare le rovine lasciate da desideri profondi e piccoli errori”. La regista parte dalla sua esperienza quando racconta che per lei essere genitori “è uno scenario semplice della vita quotidiana , un insieme di leggerezza,serietà e assurdità”. Il plot riflette su alcune situazioni nelle quali “bastano piccoli fraintendimenti per scatenare emozioni incontrollabili e causare conflitti irrazionali tra le persone coinvolte, portando a litigi senza fine su come crescere bambini tra genitori, figli, amici e perfino sconosciuti”. Un film tedesco ma intimamente francese, imperfetto, ironico, persino ingenuo, cui non mancano difetti di sceneggiatura, ma che alla fine resta lì con le sue domande, senza farsi mai dichiarativo e didascalico. Ed è soprattutto questo che lo rende interessante, piacevole e dignitoso. Perché, fra le piccole differenze e le grandi distanze fra mondi, non è detto che sia necessariamente più facile saper raccontare le prime.

Autore: Leonardo Gregorio
Pubblicato il 20/01/2015

Articoli correlati

Ultimi della categoria