XIV edizione. Fine dei giochi. Del gioco. Del viaggio e del sogno. Postumi strani e (già) nostalgia, riserve di voracità da colmare, miraggi da un limbo dolce, gocce di sudore a umettare la fronte e troppe parole. Chi va e chi viene, chi rimane, chi torna, tutto è invece lento eppure incontrollabile, il tempo sfugge di mano. Fino alla notte terminale, con tanto di irrisolta appendice danzereccia, dentro un castello, dopo la cerimonia di premiazione al cinema Massimo.
Già, i premi. A esprimersi sui dieci film europei in concorso scelti da Cristina Soldano (cinque opere di registe e altrettante realizzate da uomini), una giuria composta dalla produttrice Grazia Volpi (presidente) dagli attori Maya Sansa e il croato Leon Lucev, Claudia Landsberger, direttrice dell’EYE International-Film Institute Netherlands, e Andriy Khalpakhchi, direttore del Molodist International Film Festival di Kiev. Il premio più prestigioso, l’Ulivo d’Oro al Miglior Film ? che senza se e senza ma avremmo attribuito al potente Living del russo Vasily Sigarev, rimasto ingiustamente all’asciutto come lo spagnolo Jaime Rosales ? va, invece, a Loving del polacco Slawomir Fabicki, pellicola sull’itinerario di crisi, con riconciliazione finale, all’interno di una coppia. Opera in realtà piuttosto deludente. Premio Speciale della Giuria al norvegese The Almost Man di Martin Lund, quelli per la Migliore Sceneggiatura e per la Migliore Fotografia, rispettivamanete, a Three Worlds di Catherine Corsini (la scrittura c’è, eccome, è il film che manca) e al bel Silent Ones dell’esordiente olandese Ricky Rijneke (che ha ritirato anche il Premio Officine Lab al Miglior Attore non Protagonista per il suo interprete Roland Rába). Poi, ancora, il Sindacato Nazionale Giornalisti Cinematografici Italiani, attraverso la presidente Laura Delli Colli, ha scelto Wolfram Koch, protagonista di Our Little Differences di Sylvie Michel, per il Premio SNGCI al Miglior Attore Europeo. Riconoscimenti importanti anche agli ultimi due film in concorso, proiettati in giornata. Il Premio Cineuropa, conferito da una giuria composta da Luciana Castellina (presidente onoraria Cineuropa), Guillaume Calop (general manager di Les Arcs European Film Festival) e Amra Baksic Camo (direttrice di CineLink-Sarajevo Film Festival), va a The Dead and The Living, dell’austriaca Barbara Albert. Con Ships invece la turca Elif Refi?, al suo primo lungometraggio, ottiene il Premio FIPRESCI, quello della federazione internazionale della stampa cinematografica, assegnato da una giuria formata dai critici Karin Svensson, Marie-Pauline Mollaret e Ignazio Senatore. Finita questa breve rassegna vediamo gli ultimi film in concorso: The Dead and The Living (Die Lebenden) e Ships (Ferahfeza), appunto.
Il primo: fra Germania, Austria, Polonia e il ritorno a casa, alle origini, nella terra di Dracula in Transilvania, il viaggio della venticinquenne Sita nel passato che porta fino ad Auschwitz, dentro la memoria familiare e le sue zone più turpi in divisa SS. Fino alla verità più agghiacciante. Fino a scoprire la propria identità. Racconta la Albert: “Per me, fare film, specialmente il lavoro con gli attori, è qualcosa di molto fisico. Più che a una bella immagine, sono interessata alla vicinanza, alle facce e ai corpi. Sono il punto focale del film e perdono sempre più contatto con loro stessi, perplessi, incapaci di capire il mondo che li circonda, slogati, in caduta, in perdita di equilibrio”. Si perde e si ritrova cambiata, Sita. E si avvertono sincerità di sguardo e reale desiderio di indagine della regista, senza voler calcare mai la mano, ma se la Albert parla di un’energia del film “correlata non solo a una camera pulsante, respirante, ma anche allo stile del montaggio e al lavoro sulla colonna sonora” l’impressione, invece, è che proprio questa pulsione, questa vitalità sia assente nel film, cristallizzato in una forma troppo corretta e irrigidita, come se mancasse alla fine una reale (ri)elaborazione personale, cinematograficamente pregnante, davvero liberatoria (o davvero claustrofobica).
Ships: il giovane Alì lavora con suo padre e un amico come fornitore per il cantiere navale del porto di Istanbul. Passa più tempo a osservare (e a sognare) le navi che a lavorare; vuole scappare, vuole un altro posto, un’altra vita. Una sera si imbatte in una ragazza, autrice di uno strano graffito di una nave su un muro. Secondo Alì si tratta di un segno inequivocabile, ora può farcela, ma ha bisogno di lei… Cresciuta nella Turchia degli anni Novanta ? in un paese in profonda trasformazione socioeconomica e culturale ma al contempo ancora fortemente legato alle sue radici e alla sua storia ? la Refi? spiega: “La mia generazione ? con i più grandi quasi quarantenni ? è cresciuta senza la distinzione tra bene e male. (…) A differenza dei nostri predecessori, abbiamo scelto una prospettiva esistenzialista tesa a esplorare il mondo piuttosto che uno stile di vita basato su obblighi e bisogni. Viviamo oggi in un momento nel quale le ideologie cadono a pezzi e la speranza viene rimpiazzata da vulnerabilità e paura. Ships focalizza il cammino che uno deve intraprendere per realizzare i propri sogni”. Ed ecco due solitudini, un ragazzo e una ragazza, fermi sulla terra, in superficie, sognando la fuga, il mare ? così vicino eppure sempre irraggiungibile ? sino al finale “subacqueo”, forever. Discontinuo e forse un po’ troppo segnato dalla ricerca della “bella immagine”, dell’effetto e della metafora a tutti i costi. Cresce però negli ultimi quaranta minuti, quando si fa più essenziale, minimale, più libero e più leggero. Più aereo. Anche quando è profondo il mare.
Ora è gia mattina…