I Sotterranei è rubrica che nasce con un precisa idea: quella di voler dare uno sguardo che non sia semplice osservazione a lavori dell’audio-visivo italiano indipendente, figli di case di produzione neonate, a basso costo, svincolate dalle grandi logiche del mercato cinematografico. Nel nostro piccolo vorremmo essere sede d’analisi di ciò che in Italia viene fatto con una cinepresa in affitto, o con una troupe sottopagata; punto d’approfondimento di lavori realizzati – più o meno bene, con un bacino di spettatori più o meno grande – ma con gli stessi, invalicabili, parametri: un cinema sotterraneo, un cinema fatto in casa.
È partendo da questa premessa che con oggi prende il via la nostra retrospettiva sulla filmografia di Andrea Segre, regista italiano della provincia di Venezia, che pur non avendo ancor raggiunto i quaranta anni, può già contare su un discreto numero di titoli nella sua personalissima videoteca. Io sono Li, lungometraggio vincitore dell’ultima edizione del MedFilm Festival di Roma (seppur ex aequo con l’iraniano Orion), è il lavoro che ha acceso i riflettori sul giovane regista, portando un numero quantomeno più cospicuo di spettatori a fare conoscenza con l’incorruttibile onestà dei suoi lavori. Una panoramica che cercherà d’essere più esaustiva e avvincente possibile, che con cadenza settimanale verrà a prendersi uno spazio che sul campo si è meritata; che sa inoltre di poter contare su un regista che è stato in grado di maturare nel corso degli anni, ma che – fin dal principio – ha impostato il suo lavoro come la possibilità di aprire gli occhi sul mondo, concentrandosi con solidale partecipazione su temi che poco giocano sull’intrattenimento, per dedicarsi apertamente e senza vincoli, al coinvolgimento.
Lo sterminio dei popoli zingari è l’incipit, il punto di partenza. Sì per noi, ma anche – e soprattutto – per Andrea Segre. Primo documentario, il cui ricordo resta vivo anche nella mente di chi, nel frattempo, di strada ne ha percorsa non poca: “Grazie alla magnifica avventura con il gruppo toniCorti di Padova, ho iniziato la mia esperienza come autore di documentari nel 1997 con l’esperienza de Lo Sterminio dei Popoli Zingari”. Prodotto da Rai3 – Top Secret, il lavoro affronta la straziante vicenda dello sterminio degli zingari durante il periodo oscuro in cui Nazismo e Fascismo conobbero il potere. Il lavoro muove quindi i passi dall’idea di stimolare attenzione – e con essa la memoria, vera e unica arma di difesa dal ripetersi di altre atrocità – su fatti mai abbastanza ripetuti ai nostri occhi e alle nostre orecchie, e che mai, seppur conosciuti, potranno risultare ridondanti al fruitore provvisto d’una dose minima d’umanità.
Le leggi razziali emanate da Hitler nel 1933, sono il punto da cui tutto muove, il nastro di partenza: non solo persone d’origine ebraica vennero perseguitate, con loro – in una lista che mai avrebbe dovuto prender vita – dissidenti politici, omosessuali, etnie sinti, rom e tutte le popolazioni nomadi. A questi ultimi il documentario, come detto, presta attenzione; a testimonianze dirette e immagini d’archivio va immediatamente ad aggiungersi quello sguardo antropologico che pian piano, gradualmente, Segre saprà sviluppare parallelamente all’esperienza maturata, ma che fin dal primo sguardo, capiamo di poter innalzare a qualità tra le più fulgenti nell’insieme del suo repertorio. Voci rotte dal pianto raccontano l’odissea che i loro genitori o loro stessi, furono costretti a subire; l’ennesimo lavoro sugli orrori del nazismo quindi? Forse è così, ma partendo dall’assunto che tutto ciò che può fortificare la nostra memoria contribuisce alla graduale distruzione del pericolo del ripetersi della Storia, possiamo osare oltre: Segre con questo primo lavoro ha il merito di fotografare un lato degli eventi che da sempre rimane più in penombra rispetto al più noto – se non altro per i numeri più cospicui – genocidio degli ebrei. È (speriamo) scontato dire che dinanzi alla morte non esistono categorie d’importanza, ma è innegabile che questa sponda della storia ha conosciuto una filmografia – e una bibliografia – meno rilevanti. Merito quindi al regista, che pur non donando ancora al documentario l’intensità ed il vigore emotivo che i suoi lavori successivi scateneranno, è stato in grado di partire col piede giusto e la marcia pienamente ingranata.
Lo sterminio dei popoli zingari rappresenta pur sempre un primo passo sia per lui che per chi lo vuol conoscere. E infine anche per noi che, nel nostro piccolo, vorremmo cercare di darne una visione che non abbia il respiro corto.