Luca Ferri – Forme brevi

Un percorso d'indagine tra le forme brevi del cinema autonomo di Luca Ferri.

Dopo aver mappato i lungometraggi del regista bergamasco arriviamo ad indagare le forme brevi del suo cinema, schegge concettuali ed aliene, opere particellari che annodano fili di connessione semantica e poetica dell’intera sua filmografia. Amante dell’autonomia, di un cinema adatto a scardinare vincoli di rappresentazione, tra l’idea ed il costrutto, tra il messaggio e l’occhio (o la mente) spettatoriale e, sulla base della critica all’asservimento dell’umanità al vincolo del capitalismo avanzato, proprio di una lettura sociologica adorniana, Luca Ferri, costruisce attraverso una fitta ragnatela ossimorica visiva i contrasti che determinano la sua visione del mondo e dell’umanità che lo compone. Teso sempre verso l’automatismo, la ripetizione, la meccanicizzazione della rappresentazione che svincola l’enunciatore dall’enunciato e l’enunciato dall’enunciatario, il cinismo sarcastico e caustico (di stampo esistenzialista) berlina il mondo e l’uomo contemporaneo proto-capitalistico. Ponendo in rapporto beffardo la vita (l’essere) e la morte (il non-essere) ed attraverso quest’ultima sottolineare l’insensatezza di una vita che rincorre la propria fine, ingabbiata all’interno di strutture e sovrastrutture, rinchiusa dentro forme architettoniche modulari, severe, spigolose, razionali e mai flessibili, l’uomo di Ferri è un Sapiens, troppo Sapiens per mantenersi vivo, per sentirsi libero dai princìpi da egli stesso costruiti ed affermati.

L’ironia ossimorica recalcitrata nelle immagini del Pride di Zurigo, la giovinezza dell’essere, dell’esistere, del vivere si scontra con la deposizione della morte, l’eccidio in contrasto con l’orgoglio della vitalità. Kaputt/Katastrophe è un cortometraggio che si nutre di contrasti, tra il visivo e l’ascoltato, l’originalità cercata (ed ostentata) dalla gioventù che partecipa alla street parade si traduce in obiettivo primario, necessità di diversificarsi per r-esistere, bisogno necessario e capace di fermare il tempo che scorre ed avvolge, che avvicina l’individuo alla fine dei suoi giorni; la quantità del passaggio umano in rapporto al formicaio (associazione semantica di chiaro stampo surrealista) si stempera sul commento sonoro ("Essere in punto di morte – in punto di morte Essere"). Il catastrofismo umano di Ferri è ripetitivo, ossessivo e compulsivo fino alla fine del metraggio, con una sola tregua visiva di uno sguardo frontale, un primo piano che spezza, resetta e fa ripartire un loop visivo concettuale, la catastrofe soggiace dentro la vita che si specchia sulla sua stessa fine: "Siamo tutti uguali davanti alla morte".

L’assurdità architettonica della pianura padana, modulare speculazione esistenziale di esseri imperfetti che abitano dentro gabbie geometriche, già manifestata in Magog [o epifania del barbagianni], apre la strada alla sinfonia urbana di stampo ruttmanniano, prima, e vertoviano poi. Ridotto Mattioni, opera corta in Super8 realizzata dalla collaborazione tra Luca Ferri e Giulia Vallicelli, musicata da Dario Agazzi nella partitura originale 16/49 (rondeau) per organo sintetico 2014, è un’opera d’indagine sull’architettura di Luigi Mattioni, figura cardine della trasformazione urbana milanese del dopoguerra. La ricorsività del partitura musicale ben si presta al contrappunto con il visivo, non è solo la Berlino del 1927 a suonare ma anche Milano, nell’architettura di Mattioni a creare dei suoni d’esistenza e di racconto, anche se lontano dalla metamorfosi formale adoperata dai due precedenti grandi registi, anche Milano inizia a possedere il suo sottofondo ritmico.

Nel cinema di Ferri anche lo stesso classicismo letterario – Adorno, Novalis, Calvino, Bukowski, Wallace, Goethe, Marx, Stravinsky - sembrano essere fagocitate dal nichilismo ottuagenario di una società stantia e livellatrice della coscienza collettiva e societaria. Il vecchio sputerà sulle tombe (Boris Vian dixit) del classico, la cultura soverchiata dalla coltura, tre nipoti gemelle rivolgono tre lettere al loro nonno, chiedendogli il motivo di tanto rancore nei confronti degli autori sopraelencati, personalità e letture che hanno formato l’individuo pensante, parte di un cultura assimilata dalle tre nipoti ma ostinatamente rifiutata dall’archetipo. La critica si carica della valenza metacinematografica, Caro Nonno è un cortometraggio frontale, che guarda in macchina e che si rivolge allo sguardo dello spettatore costringendolo alla riflessione.

Il procedimento protocollare, l’automatismo sia cinematografico (formale) che contenutistico inizia a figurarsi come punto di arrivo di una crescita discorsiva. Cane Caro, cortometraggio inedito di Ferri, volge proprio a questo fine. Epilogo ideale di una visione del mondo svincolata dalla possibilità d’azione su di esso, la riabilitazione adorniana passa attraverso l’affidamento totale alle macchine, i recipienti ospedalieri, stanze asettiche nelle quali un anziano signore porta il proprio cane per essere smembrato e pulito, vivono nel rapporto tra le prospettive cataclismatiche del pensiero adorniano capitalistico (ed informatizzato) in contrasto con i protocolli adoperati dalla clinica veterinaria meccanicizzata e da esso stesso, idealmente, gestita. La resurrezione con del nuovo sangue è possibile, l’uomo/animale può trasformarsi in qualcosa di nuovo, passando ad un nuovo stadio evolutivo, ma non può vivere all’infuori di una realtà che si ripete, lasciandolo nelle mani di un mondo identico anche se spostato, discostato, inclinato, diverso ma ontologicamente uguale, un risorto nelle maglie di una realtà (identitaria) incapace di risorgere anch’essa.

Kaputt/Katastrophe – Durata: 15 minuti - 2012

Ridotto Mattioni – Durata: 10 minuti - 2014

Caro Nonno – Durata: 18 minuti - 2014

Cane Caro – Durata: 18 minuti - 2015

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 25/08/2015

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