La figlia oscura
Opera perturbante e fortemente metaforica sul legame materno che, come una spirale serpentina, soffoca e nutre allo stesso tempo.
Ne La figlia oscura, opera prima dell’attrice Maggie Gyllenhaal tratta dal romanzo breve di Elena Ferrante, c’è un continuo ritornare alle tematiche de L’amica geniale, la fortunata saga prima letteraria e poi televisiva con cui l’autrice italiana ha raggiunto il successo internazionale. Pare anzi la storia una prima bozza in piccolo di alcuni personaggi e figure, poi in seguito sviluppate ampiamente: una bambola e una bambina che scompaiono, il rapporto conflittuale con la maternità, l’emancipazione femminile da un’ambiente proletario e la relativa ambizione professionale.
Leda, professoressa università con due figlie ormai ventenni, incontra in vacanza al mare una famiglia di rumorosi e volgari turisti tra cui spicca il rapporto fra una bella e giovane madre di nome Nina e sua figlia piccola, che a sua volta si prende cura con molta premura di una bambola. La possibilità di una segreta amicizia attira le due donne, le quali in privato condividono una visione ambivalente della maternità, un discorso sotterraneo perché potenzialmente colpevole di fronte agli occhi della società.
La natura letteraria dietro il film è talmente pervasiva che Gyllenhaal struttura la storia come un percorso colmo di segni dove ogni cosa si fa intensamente metaforica: bambole da cui fuoriescono vermi, frutta bella a vedersi davanti e marcia dietro, orde fastidiose di persone che disturbano la quiete; ogni cosa nasconde un lato inquieto, disgustoso, che rimanda al tema principale del rapporto madre – figlie, mentre la spiaggia e la casa dove alloggia Leda appaiono come spazi apparentemente felici e liberi entro cui però un sottile disagio penetra innervandosi in profondità. La maternità è definita dall’estetica del film come un’esperienza totalizzante, i flashback dedicati a Leda la vedono riempire l’inquadratura nell’abbraccio fusionale con le bambine, la condivisione di piccoli riti complici; ma l’immagine sa trasformarsi con velocità repentina in un luogo soffocato dalle urla delle piccole che si litigano e pretendono tutto il tempo l’attenzione della madre. In particolare il pianto infantile prolungato, estenuante, diviene un suono lacerante, che cerca di assordare anche lo stesso spettatore per renderlo consapevole.
D’altra parte il legame empatico, non giudicante che si instaura fra Leda e Nina è il medesimo che La figlia oscura vuole stringere con il pubblico. Il continuo passaggio da un’emozione negativa a una positiva, da un’immagine di gioia a una inquietante, a lungo andare suggerisce che lungi dal dover temere il lato marcio nelle cose, sia necessario riconoscere ogni legame come complesso e quindi anche potenzialmente soggetto a rotture, ferite, riconciliazioni. La Leda interpretata da Olivia Colman nel presente e da Jessie Buckley nei flashback vuole fuggire e tornare dalle figlie allo stesso tempo, vivendo l’amore materno come un atto doppiamente egoistico nel suo desiderio parallelo di essere libera e stare con le bambine non tanto poi per il loro bisogno di lei, quanto per il suo bisogno di loro. Si tratta di una storia di maternità individuale e personalissima, eppure universale nella sua idea generale di un sentimento troppo potente per poter essere definito da idee semplici e coerenti.
La figlia oscura si evolve così come racconto visivo intenso e perturbante, quasi faticoso nel suo svolgersi irregolare fatto di distanze e improvvisi avvicinamenti ma nonostante ciò privo di qualsiasi giustificazione o giudizio verso i suoi personaggi. Leda non nega nulla: né il suo amore materno, né l’ambizione di essere altro oltre che madre e di pensare a sé stessa. Ammette anzi i due diversi tipi di felicità e infelicità che vive con le figlie e da sola. La sua storia è la confessione totale di due impulsi fortissimi e contrari che la scuotono senza sosta nel profondo: perciò forse non è un caso che alla fine l’unico sollievo possibile stia nell’accettazione consapevole di entrambi come forme non esclusive né lineari di amore per sé e per gli altri. Chi scrive non sa immaginare l'immenso sollievo nascosto che molte donne proveranno nel guardare il film, e forse già questo basta a farne un’opera meritevole se non di piena comprensione, almeno di attenzione.