Clorindo Testa
El Pampero Cine: partendo da un libro, Mariano Llinás svela un mondo che gli permette, tra deviazioni e connessioni, di riflettere su sé stesso e il proprio paese.
«Noi dobbiamo fare questo documentario sull'Italia. Io devo fare questo documentario. È un dovere fare questo documentario sull'Italia», ripeteva senza posa Nanni Moretti in una scena di Aprile, dalla cui uscita sono appena trascorsi 25 anni. Sentiva la necessità di realizzare un documentario sulla campagna elettorale del 1996 e sulla situazione politica italiana. Fremeva per girarlo. Eppure finiva con il pensare a tutt'altro, perdendosi tra digressioni, storie, episodi familiari e variazioni, in un film che evolve come un canto libero sul paese, sul cinema e su Moretti stesso. Il Mariano Llinás documentarista, dopo i fluviali Historias extraordinarias e La Flor, sembra riprendere proprio quel Moretti (riecheggiandolo finanche in certe espressioni) e arriva a girare Clorindo Testa con un approccio non troppo dissimile. Commissionato dalla Fundación Andreani, il film all'apparenza dovrebbe concentrarsi sulla figura di Clorindo Testa, architetto e pittore italiano naturalizzato argentino ed esponente della corrente brutalista. Nonché amico del padre di Llinás, autore di un libro su di lui. Sin da subito però diviene chiaro come il soggetto altro non sia che l’ennesimo MacGuffin tramite il quale Mariano Llinás può zigzagare tra vari temi e suggestioni, esponendosi e raccontandosi in prima persona.
La ricerca iniziale del libro scritto da Julio Llinás su Clorindo Testa, mentre Mariano intreccia divertenti e irresistibili dialoghi con la madre, si trasforma in una ricerca sulla forma e sull'indirizzo del documentario, che costantemente viene elusa e rilanciata attraverso infinite deviazioni. Tra accenni al padre e a Testa, viaggi in auto per Buenos Aires, letture del libro, visioni alla moviola del materiale girato e confronti con la madre e i collaboratori di El Pampero Cine (tra cui la moglie Laura Paredes e Agustín Mendilaharzu) Clorindo Testa sfugge ogni vincolo e ogni collocazione, compresa quella di documentario. Di cosa parla, allora? «Prima di tutto, questo non è un film su Clorindo Testa. E seconda cosa, questo non è un film su mio padre», dice lo stesso Llinás. Come in un gioco di scatole cinesi, il film ne contiene e ne rivela altri, autoriflettendosi e commentando la propria natura. Al centro di tutto torna sempre l'omonimo libro, che racchiude in sé ogni componente del racconto e collega tra loro la storia dell'Argentina, Clorindo Testa, la famiglia Llinás e i rapporti con l'artista, i temi dell'arte e persino politici. Un nome, nessuno e centomila.
Così come il precedente documentario da lui diretto, Corsini interpreta a Blomberg y Maciel, Clorindo Testa è attraversato e sospinto dal voice over di Mariano Llinás. Nel ruolo di cantastorie e abile affabulatore intreccia racconti, narrazioni parallele, frammenti, parentesi che si rincorrono e si susseguono come interludi musicali. Le immagini e lo svolgimento del film sembrano avere origine direttamente dalla sua voce, con cui il regista si rivolge allo spettatore per trascinarlo nel suo vortice di passione e ironia. "El fervor de filmar como se te canta", recita il motto di El Pampero, il fervore di filmare come si canta, e i documentari di Llinás ne risultano la perfetta traduzione, dispiegandosi come viaggi lucidamente anarchici e improvvisati, di una pulsione quasi dadaista.
Le molte e inaspettate connessioni e il costante rifrangersi del racconto rievocano la letteratura di Jorge Luis Borges, punto di riferimento fondamentale per Mariano Llinás, a partire dall'idea di un libro che racchiude un mondo. Un libro che diventa il film - la stessa cosa avveniva in Corsini interpreta a Blomberg y Maciel con l'omonimo album musicale - e da cui si origina il dedalo di storie raccontate da Llinás. Quella del labirinto è una figura centrale proprio della poetica borghesiana, come simbolo della confusione e dello stupore dell'uomo, dell'impossibilità di uno sguardo univoco sul reale, ed è anche alla base di Clorindo Testa, in cui a essere predominante è il tema della rappresentazione (come la diretta messa in scena dell'incontro alla Fundación Andreani) e quindi del cinema. Una realtà apparentemente semplice e raggiungibile cela significati più complessi e collegamenti impensabili, che Mariano Llinás include e raffigura attraverso il cinema, finendo con il riflettere su di sé e sulla storia del proprio paese.