I May Destroy You
In una serie fortemente personale e autoriale, Michaela Coel tematizza l’esperienza dello stupro e utilizza l’auto-narrazione come strumento psicanalitico di catarsi ed emancipazione.
Coprodotta da BBC One e HBO, I May Destroy You si pone in continuità con un certo modello di prodotto televisivo marcato da una fortissima presenza autoriale femminile che trova nei lavori di Lena Dunham degli anni Dieci il proprio prototipo e in quelli di Phoebe Waller-Bridge, Tig Notaro o Rachel Bloom, per citare, forse, le autrici più famose, il proprio seguito. Si tratta di serie spesso figlie di una scrittura più vicina allo spettacolo teatrale o al monologo comico e dalle forti venature autobiografiche, dove l’autrice ricopre la stragrande maggioranza delle parti del processo creativo, dalla sceneggiatura, alla regia passando per il controllo creativo e l’interpretazione. Il protagonismo quasi assoluto intorno a cui ruota questo tipo di narrazioni fa sì che la figura principale armonizzi e renda coerenti le diverse sfaccettature e le dinamicità da pastiche di generi del racconto spesso rivolto verso il dramedy e la satira sociale. Satira che diventa volentieri commento critico, ironico e autoironico, di esperienze tipicamente femminili o minoritarie e del modo in cui vengono rappresentate in televisione e interpretate dal pubblico, dove il personaggio di finzione interagisce in un gioco di rimandi e sovrapposizioni con la persona reale dell’autrice.
Dopo la serie di debutto Chewing Gum per l’emittente britannica E4, distribuita su Netflix dal 2015 al 2017, una cringe comedy sul quotidiano di una ragazza di colore nella periferia urbana londinese (adattamento televisivo della sceneggiatura teatrale della stessa autrice Chewing Gum Dreams), Michaela Coel dà alla luce I May Destroy You, un progetto più complesso e maturo che fa convergere ed evolvere i diversi aspetti dell’identità dell’autrice: l’essere donna, millennial, le specificità di una felice fusione fra blackness e britishness.
È perfettamente logico, visto il particolare processo creativo che sta alla base di questo tipo di racconti, che sulla serie si riversi una buona parte dell’esperienza del vissuto personale dell’autrice, a cui la serie è legata a doppio filo. In diverse interviste la Coel parla degli abusi subiti sul set di Chewing Gum, facendone il motore della scrittura e dell’azione di I May Destroy You.
La serie pone al centro l’auto-narrazione come tentativo di metabolizzare la violenza subita, per superare o perlomeno affrontare l'esperienza dello stupro subito, in un racconto che assume coerentemente e contemporaneamente i tratti della detective story e del romanzo di formazione dai toni dramedy, consoni all’oscillazione tra il dramma della situazione concreta che è difficile da edulcorare e l’autoironia e la forza comica come connotato caratteriale dell’autrice e della protagonista.
L’intreccio si costruisce come una crime story: lo spettatore viene messo al corrente di una parte degli eventi e coinvolto nell’indagine sulle circostanze, le cause ed i colpevoli, domande che perdono progressivamente d’importanza per farne guadagnare alla convalescenza della protagonista, alla presa di coscienza delle colpe sistemiche, delle violenze strutturali. L’indagine sullo stupro, in questo modo, si allarga, si frastaglia in una rimessa in discussione di tutto ciò che potrebbe aver a che fare con lo stupro nella società contemporanea, di tutto ciò che può (e deve) essere definito e compreso come uno stupro, di tutto ciò che la violenza e la violazione possono fare alle proprie vittime. La Coel trasforma abilmente un genere in cui compaiono spesso le donne come vittime di violenza (si pensi al tropo ancora molto diffuso della dead girl nel crime) in uno strumento di analisi delle condizioni e dei presupposti di questa stessa violenza misogina, della cultura dello stupro. Si frastaglia, così, anche l’esperienza stessa dello stupro (e la sua rappresentazione) nelle diverse storie dei coprotagonisti, quasi a voler rendere operativo in questo senso uno schema di indagine che fa fuoriuscire esperienze assopite, non riconosciute prima di venir interrogate, quasi a voler mostrare fino a che punto la cultura dello stupro sia una realtà presente nella stragrande maggioranza delle vite di tutti, chi carnefice, chi promotore più o meno conscio, chi vittima.
Con questa sorta di crime sociologico-culturale si intreccia, quindi, grazie anche alla concentrazione costante sul punto di vista della vittima, il romanzo di formazione che prende le forme della reinterpretazione artistica del vissuto, sempre presente e tematizzata nella serie stessa (come accadeva anche in Girls, dove la vita di Hannah è continuamente elaborata e rielaborata attraverso la sua pratica di scrittura) grazie ad un affascinante mise en abyme che fa passare l’elaborazione del trauma subito attraverso una doppia catarsi artistica: l’attività di scrittura che, nel finale, aiuta la protagonista Arabella a potersi emancipare dall’esperienza traumatica, e la scrittura della stessa I May Destroy You da parte della Coel, della quale traspare il sentimento di liberazione e riconquista della propria narrazione dai toni che la serie stessa assume nel finale.