Somnia (Before I Wake)
Mike Flanagan chiude la sua "trilogia della perdita" con un melodramma onirico privo di un'identità definita che lo conferma tra i più originali registi horror della sua generazione.
«Se i sogni sono film, allora i ricordi sono film di fantasmi» cantavano i Counting Crows, e le storie di fantasmi sono le più difficili da raccontare in un film, soprattutto quando si tratta dei fantasmi della mente. Somnia (Before I Wake) è una di queste storie, la storia di un “sonno profondo” popolato da incubi, rimorsi e struggenti malinconie da cui sembra impossibile svegliarsi fino alla fine della visione. Mike Flanagan torna a confrontarsi con il tema dell’elaborazione del lutto e la riconciliazione familiare, presentandoci un melodramma onirico dalle sottili venature horror ambientato tra le mura domestiche. Una pellicola sofisticata e visionaria che con le sua atmosfere soffuse chiude idealmente quella che potremmo definire la “trilogia della perdita”: un percorso catartico sulla metabolizzazione del dolore iniziato nel 2011.
Ancora una volta sono i rapporti familiari con le loro nevrosi lo snodo cruciale dell’azione: dopo la vedova tormentata dallo spettro del marito nel seminale Absentia e i due orfani ossessionati dall’omicidio del padre nel cult Oculus, spetta ai coniugi Hobson – protagonisti di Somnia – fare i conti con i propri fantasmi. In questo caso il trauma scatenante è la tragica e prematura scomparsa del figlio Sean che convince la giovane coppia (Kate Bosworth e Thomas Jane), intrappolata in un limbo di apatia e tacito negazionismo, a prendere in affidamento un altro bambino nella speranza di ricucire lo strappo causato dalla perdita che ha destabilizzato gli equilibri all’interno della casa. Il bambino in questione è il piccolo Cody (Jacob Tremblay), un orfano affettuoso ed empatico che, dopo la morte di sua madre, sembra riuscire a lenire il dolore degli altri grazie a un dono più grande di lui: una “luccicanza” che gli consente di materializzare i sogni di chi lo circonda. Peccato che anche il bambino sia perseguitato da incubi ricorrenti che ben presto porteranno a galla i suoi mostri – nelle vesti dell’inquietante “Uomo Cancro” - trasformando il suo potere in una maledizione per chiunque tenti di approfittarne. Soltanto l’affetto e il rinnovato amore della nuova madre verso il figlio acquisito potranno spezzare “l’incantesimo” che grava su di loro, risvegliando entrambi da un sogno durato troppo a lungo, ma prima dovranno trovare la forza di uscire dal bozzolo di sofferenza che soffoca i loro sentimenti.
Sembra una morale fiabesca, quella suggerita da Flanagan, tipica di alcune ghost stories letterarie, dove il fantasma non è altro che un pretesto per riflettere sulla persistenza in negativo del vivere mentre il sogno – o meglio, l’incubo – serve a mettere in scena il senso di colpa – rappresentato dal boogeyman – che infesta la quotidianità di chi, rifugiandosi dietro simulacri e feticci del passato, rifiuta di affrontare il presente. Non a caso tutta la narrazione è orientata a costruire il pathos (melo)drammatico del racconto attraverso ritmi lenti e dilatati che diano il maggior risalto possibile alla psicologia dei personaggi, a discapito della componente metafisica che seppur presente non mira mai a turbare realmente lo spettatore, se non alla luce dei risvolti allegorici che assumerà all’interno della vicenda. Da questo punto di vista Somnia è un film rischioso da classificare nel suo ambizioso fluttuare tra thriller psicologico, favola dark-fantasy e dramma familiare che tenta contemporaneamente di coccolare e terrorizzare, tanto da far sospettare che l’intento di Flanagan – in fondo – sia proprio quello di voler disorientare lo spettatore invitandolo a uscire dalla propria comfort zone. Ipotesi che testimonia come il talentuoso “cronista del subconscio”, abilissimo nel descrivere le zone d’ombra della psiche umana, sia da annoverare tra gli autori “difformi” della nuova generazione, grazie alla sua capacità di sovvertire ogni volta le regole del genere, spesso condizionato da logiche stantie, pur di affermare la sua personale visione.
Tirando le somme, Somnia è una piacevole anomalia nel curriculum del regista di Salem, che assimilata – tra i tanti – la lezione del maestro Wes Craven (Nightmare) e dell’amico James Wan (Insidious) conferma di avere ancora diversi assi nella manica da poter giocare.