Mistress America

Baumbach ritorna al cinema con un'altra scoppiettante commedia che cela uno sguardo più serio sulla nostra società iperegocentrica

Quando Tracy inizia l’università niente è come se l’era immaginato: gli altri studenti la ignorano o l’atterriscono con i loro modi sprezzanti, l’ambito circolo letterario a cui voleva partecipare boccia il suo racconto, il ragazzo con cui sembrava essere nato qualcosa si fidanza con un’altra. Studiare a New York senza avere amici è come starsene in disparte a una festa, perciò al culmine della disperazione a Tracy non rimane che incontrare Brooke, la figlia dell’uomo con cui sua madre sta per sposarsi in seconde nozze. L’incontro è magico, caotico, divertente: Brooke è una trentenne dinamica, le mani in pasta dentro qualsiasi cosa e mille progetti da realizzare, tra cui l’ambito sogno di aprire un ristorante che rappresenti un caldo rifugio familiare dal disordine della Grande Mela. Tracy inizia a seguirla ovunque, la sostiene, ne ascolta le storie logorroiche e gli aforismi pretenziosi, ed è a tal punto affascinata dalla sua strabordante personalità da scrivere un nuovo racconto tutto incentrato sulla sua esistenza.

Brooke affascina anche lo spettatore, ma per una ragione particolare: il personaggio elaborato da Noah Baumbach è in fondo, con tutta la sua effervescente vitalità, una vera stronza. Brooke è iperegocentrica, amplifica il suo essere al mondo tramite la costante presenza nel web e usa il ricordo della morte della madre per garantirsi agli occhi altrui un notevole spessore spirituale. È la classica ragazza popolare che al liceo prendeva in giro gli studenti più emarginati, usa gli uomini per ottenerne il denaro e confessa sempre nuovi interessi solo per apparire intelligente . In un altro film sarebbe l’antagonista, o assumerebbe un ruolo secondario, ma Baumbach ne fa invece il centro dell’interesse di Tracy, che in fondo è una scrittrice e dunque, dal suo angolo solitario riesce a scrutare e leggere dentro all’anima altrui. Come persona ammira e vuole bene a Brooke, però allo stesso tempo il suo mestiere le impone la massima onestà, pertanto affida alla carta i pensieri che in compagnia dell’amica sceglie di rinnegare: ovvero che la carica vitale di Brooke serve solo a celare un crescente vuoto esistenziale.

Mistress America è una commedia a forte stampo teatrale – soprattutto nella parte centrale, ambientata tutta in interni – e come tale è il ritmo dei dialoghi, delle battute, delle entrate e uscite dei personaggi a tener costantemente accesa l’attenzione dello spettatore. Il film di Noel Baumbach è però anche una descrizione neutrale dell’egocentrismo come la forma mentis predominante della nostra epoca: un individuo che parli costantemente di sé, della propria vita e dei propri successi può apparire a prima vista antipatico e insopportabile, ma in realtà sta semplicemente adottando il comportamento migliore per emergere. Difatti l’egocentrismo oggi non risparmia nessuno, né le persone di successo che devono sempre lottare per rimanere sulla cresta dell’onda, né i timidi che si consolano aspettando che il mondo riconosca il loro genio. Così, Baumbauch continua nell’opera di sfornare commedie divertenti e simpatiche dal sottotesto sociologico: assistere alle lacrime di Brooke, grandissima stronza che voleva solo farcela nella vita, produce una sorta di rispecchiamento che vale per tutti, soprattutto per coloro che all’inizio non potranno fare a meno di pensarsi delle persone di gran lunga migliori.

Autore: Veronica Vituzzi
Pubblicato il 19/10/2015

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