Napoli, Napoli, Napoli

Se fossi un detenuto, vorrei un libro

per volar via, oltre le mura del carcere

Peppe Lanzetta

Napoli, Napoli, Napoli. Tre volte Napoli, e perché no? Proviamo ad aumentare il ritmo, tambureggiamo nominandola più volte, una Napoli per ogni sua identità, per ogni suo vissuto, per ogni sguardo posato e transitante su Napoli stessa; mille volte Napoli allora, anzi di più, esageriamo, una Napoli per ogni napoletano, una Napoli per chiunque l’abbia vissuta almeno una volta, arriveremo fino ad infinite volte Napoli. È forse proprio questa la magia, l’unicità di una città come Napoli, come New York, come Roma, come San Francisco, come Istanbul, di proprietà di tutti, ognuno con il suo personale sentimento per queste città. Ma Napoli, come le altre, è una ed è reale ed accetta tutti e tutto. Ogni città possiede il privilegio di transitare sguardi, opinioni, ricordi, mentre Lei rimane sempre la stessa, da anni, da millenni, invece noi cambiamo sempre, ci viviamo, ci cresciamo, la conosciamo solo di sfuggita, ce la ricordiamo così come l’abbiamo vissuta oppure solamente immaginata. Così come ogni città mantiene il ricordo del singolo individuo che l’ha transitata, dentro di noi rimane il tracciato del transito di una città intera.

Peppe Lanzetta, autore napoletano figlio di quel “Bronx minore” implicito in ogni città; Gaetano Di Vaio, fondatore della casa di produzione “Figli del Bronx”, ex-detenuto, ribelle e salvato; Abel Ferrara, regista nato e cresciuto nel “Bronx maggiore” quello vero, tanto documentato e filmato nei suo film, attraverso parabole crude e violente dei “non-luoghi” periferici e desolati, attraverso le cristiane letture dei ghetti di miseria. L’incontro dei tre genera racconti, Ferrara vorrebbe fare un lavoro sulla terra che ha dato i natali a suo nonno, emigrato dopo nell’ upper class delle frontiere buie di ogni città. Il Bronx appunto. Lanzetta fa dei corsi di teatro, nelle zone più degradate di Napoli, e poi scrive e racconta ciò che lo circonda. Di Vaio è un ex detenuto, frequenta questi corsi, conosce Lanzetta ed ha la forza per organizzare una struttura che includa tutti, il recupero che inizia dalla sensibilità, dalla comunione, da una diffusione di cultura per il sempre ignorante “popolino”. “Abbiamo scelto l’arte perché è il mezzo fondamentale attraverso cui si forma liberamente il pensiero di una persona nei primi anni della sua vita. In questo modo possiamo recuperarli prima che vengano «ammazzati moralmente» fin dall’infanzia, dai genitori e dall’ambiente che li circonda. Farlo con delle attività che siano per loro piacevoli ed accattivanti è un buon inizio”. Questo è lo spirito di partenza di Cosimo Alterio, collaboratore dell’associazione creata da Di Vaio. I tre vogliono raccontare Napoli, e lo fanno. Quello che raccontano parla il linguaggio documentaristico e finzionale, quello che ne deriva è una docu-fiction dai regolari risvolti, spaccati ben separabili come concezione e coerenza narrativa, storie che raccontano una città da differenti e poco amalgamati punti di vista. Ogni rappresentazione è una scelta, qui le storie e le rappresentazioni si differenziano, coincidono ma a volte contrastano.

La violenza istintiva e pulsionale della Bronx di Ferrara non può venire ricercata nel dialogo vero, di inchiesta, di stampo documentarista, ma casomai in una messa in scena di piccole storie raccontate. In queste ultime rappresentazioni, la violenza traspare attraverso un racconto, una storia di “azione” e violenza, prerogative di genere molto più ferrariane ma che a volta soffocano il desiderio di parlare della città stessa. Il Bronx maggiore è pieno di storie da raccontare mentre Napoli sembra più bisognosa di ascolto. Basterebbe lasciarla parlare. E parlano le donne del carcere di Pozzuoli, le ascoltiamo frontalmente e guardandole negli occhi, domande e risposte vere tanto quanto lo sguardo che le sostiene. Due storie di finzione si intersecano alla interviste, la prima è una storia di vendetta, due guappi uccidono il terzo sotto comando del boss; la seconda è una storia di violenza domestica, un padre, interpretato dallo stesso Lanzetta, beve, gioca, e si sfoga sui figli arrivando a violentare sua figlia. In mezzo Napoli, tanta Napoli, vicoli, madonne fluorescenti che proteggono agli angoli delle strade, il coro dei detenuti maschili, le vele di Scampia, Secondigliano, i quartieri Spagnoli centrali, la cinta di sicurezza fatta di edifici “creati per abitare, e non per vivere” dai quali ci si protegge. In questo film a parlare sono anche le borghesie agiate e differenti, lontane e timorose dalla realtà di strada; voce e fiato dato anche ai responsabili delle associazioni culturali interne, come il “DAMM” oppure il “Gridas”, realtà coraggiose che intraprendono la strada della cultura e della solidarietà. “Le istituzioni devono intercettare queste risorse, devono incrociarne le molte idee e magari aiutarle con piccoli prestiti. Non devono calare i progetti dall’alto, ma dare alle persone i mezzi per rivoluzionare i Quartieri. E così Forcella, la Sanità, e le altre periferie. Io penso che l’emancipazione che può darti la cultura sia più importante del famoso posto di lavoro. Io lo so bene…”, queste le parole di Di Vaio rilasciate al Corriere del Mezzogiorno. Sono le persone che devono salvare il luogo dove vivono, perché solo loro sanno come migliorare la vita delle persone che sono i loro vicini. Solidarietà e beni comuni. Socialismo produttivo che traspare anche all’intervista allo stesso Di Vaio. Finisce: “E ancora devono rendersi conto, che a Napoli, di persone come Gaetano Di Vaio ce ne stanno migliara…”. Ed io spero, come critico e come regista, che persone così esistano in tutti i Bronx di ogni città. E ce n’è solo uno che ben sa raccontare le violente e notturne strade del Bronx come Ferrara.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 23/08/2014

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