La squadra della Vostok Film al gran completo torna ad invadere queste pagine, dopo la lunga carrellata di qualche mese fa, nella quale I Sotterranei hanno coperto la quasi totalità della produzione della casa romana; uno su tutti: i meravigliosiDiari del ‘900. Stefano Grossi teneva saldo nella sua mano quel bellissimo progetto, presentato al Rome Independent Film Festival, e ancora Stefano Grossi pone il suggello su Nel paese di giralaruota – Il grande inganno di Calciopoli, documentario su ciò che il sottotitolo fa di tutto per non celare. “Calciopoli”, etimologicamente “città del calcio” poco rende onore – se mai di onore si potesse parlare – ad una vicenda che con lo sport ha nulla a che fare.
Estate 2006: il calcio italiano è percosso da quell’uragano d’abominio che fu lo scandalo – il cui nome di craxiana memoria si deve alla fine penna di Oliviero Beha – nato sotto colpi di intercettazioni telefoniche e arbitraggi manipolati nella stanza dei bottoni; c’è lo stesso giornalista fiorentino tra le voci – tante e diversificate quelle interpellate – che tentano una disamina che abbia i crismi di una più delineata saggezza, rispetto alle isteriche e faziose posizioni delle lunghe estati dei processi. Luciano Moggi, Guido Rossi, Francesco Saverio Borrelli, Innocenzo Mazzini, Antonio Giraudo, tutte minuscole parti di un enigma del quale probabilmente non si conoscerà mai la risposta, almeno non nella sua completezza. E ancora: Tony Damascelli, Adriano Galliani, John Elkann, Diego Della Valle. Un puzzle irrisolvibile, una farsa dai mille personaggi ognuno pronto a recitare la parte del capro espiatorio, dell’innocente raggirato, del ladro preso con la refurtiva in mano pronto a negare le sue colpe fino all’inverosimile, al grottesco. Questo e molto altro (e molto peggio) fu l’estate del 2006. Quella dei Mondiali di Germania anche, dei rigori contro la Francia e dei sigari di Lippi; eventi straordinari che contribuirono ad affinare quella nobilissima arte – in cui da sempre siamo sovrani – dell’occultare sporcizia sotto il tappeto dell’omertà, del tarallucci e vino. Qualcuno radiato – non senza motivo – e qualcun altro ancora oggi libero di imperversare tra stadi e salotti televisivi in cerca di un microfono nel quale riversare la propria arroganza; squadre penalizzate o retrocesse (una sola, la più nota) ed altre pronte a portarsi sul tetto d’Europa di lì a meno di un anno. Storie d’ordinaria follia vorremmo urlare, ma ci sarà chi al nostro fianco ci inviterà alla calma, che lo scandalo legato al calcio-scommesse è ancora in evoluzione, che – forse – di donchisciottesche battaglie questo nostro calcio ne avrebbe molto bisogno, ma in fondo non le merita.
Ha quell’odore piacevole dell’erba smossa dal mulino questo documentario, di un’erba smossa ma che – comunque sia – tornerà al suo posto, perché fermare il vento che spira dalle parti della Federcalcio proprio non se ne parla. Ma quell’odore non cesserà di essere piacevole, ed allora ascoltare chi parla di famiglia Agnelli, di Saras (raffineria più importante in Italia, nonché azienda di casa Moratti), di movimenti occulti per bypassare quelle ingombranti figure che rispondono ai nomi di Moggi Luciano e Giraudo Antonio, non può che deliziare sensi abituati a vedere e sentire tesserati ed addetti ai lavori affermare con disinvoltura: “l’importante è fare bene”, “basta parlare male del calcio italiano, all’estero non stanno meglio di noi”
La qualità migliore di questo lavoro è subito sotto gli occhi: portare lontano dalle deformazioni del pianeta calcio una vicenda che poco ha a che vedere con un pallone che rotola e molto più si avvicina a manovre politiche di reciproco clientelismo. La faziosità, se c’è – e chi scrive non l’ha percepita – è sepolta da un oceano di parole che arrivano dai punti più lontani della barricata: trincee opposte rispondono colpo su colpo mentre chi racconta tenta di guardare più in là della raffica di colpi. Il rischio è quello di farsi un’idea più precisa e provare disagio.
Ma ben venga il ribrezzo di saper qualcosa di più, ben venga la nausea, ma che questa arrivi prima di esser costretti a sentire: “qualcuno comprava le partite a mia insaputa”.