Nessuno si salva da solo
L'opera di Sergio Castellitto si rivela, alla terza trasposizione di un libro di Margaret Mazzantini, un fallimentare viaggio amoroso che mette in luce i maggiori difetti del cinema italiano odierno
Possiamo immaginare, fra il serio e il faceto, le discussioni della squadra Castellitto-Mazzantini al riguardo dell’adattamento cinematografico del libro scritto da lei; un processo lavorativo questo, peraltro ormai rodato, dato che Nessuno si salva da solo è già il terzo volume scritto da Margaret che la coppia porta sul grande schermo. Le buone intenzioni, in fase di scrittura, non saranno certo mancate: ci sarà stata una gran voglia di raccontare con realismo la bellezza e la difficoltà dell’amarsi e del crescere una famiglia, incarnandole nella storia di Gae (Riccardo Scamarcio) e Delia (Jasmine Trinca) che si innamorano, si sposano e poi si allontanano, finendo col litigare – e piangere - al tavolo di un ristorante sui cocci di un’amore che sembra ormai finito.
Che realismo sia, si sarà detto il duo creativo, puntando su sesso carnale e cruda fisicità, linguaggio schietto e spudorata rappresentazione della meschinità presente nei rapporti più sinceri; senza dimenticare di aggiungere una certa leggerezza di fondo, dato che l’amore è anche gioia, risate, ironia. Con presupposti così promettenti, avrà concluso la coppia di autori, non può che uscirne un bel film.
Nessuno si salva da solo rivela però qui tutta l’immaturità di un certo cinema italiano, convinto che basti appunto la storia, il messaggio, le sacrosante “buone intenzioni” sopra citate per tenere in piedi un’opera del tutto disinteressata, nei fatti, a offrire una struttura formale perlomeno coerente. La totale mancanza di attenzione, da parte degli autori, riguardo una costruzione filmica che supporti parole e gesti dei protagonisti, comporta un risultato paradossale: il film, che dovrebbe toccare lo spettatore nel suo intimo, lo fa invece ridere. E non è questa una risata di partecipazione, purtroppo, quanto di derisione. Mettere in bocca ai personaggi dialoghi che sulla carta dovevano risultare profondi e sinceri, senza curarsi del ritmo narrativo, o di adattare il contesto ai sentimenti espressi, finisce per far apparire ogni scena importante come fuoriluogo, se non addirittura ridicola.
Ad analizzarlo più da vicino, questo benedetto contenuto non risulta poi granché penetrante: la relazione fra Gae e Delia si svolge secondo lo schema trito e ritrito che prevede una lei tanto bella quanto complessata e un lui sempliciotto, irresponsabile ma sinceramente innamorato. Se è proprio necessario raccontare la moglie italiana moderna come una madre fanatica che nega le merendine ai propri figli perché deleterie dal punto di vista nutrizionale, è preferibile la decisa virata verso l’horror di Saverio Costanzo in Hungry Hearts , e non è certo lasciando libri dai titoli altisonanti sullo sfondo che diverrà possibile credere alla pretesa profondità spirituale dei personaggi. Il colpo mortale di Nessuno si salva da solo consiste però nella delirante comparsata di Roberto Vecchioni - assieme a una Angela Molina splendida anche nel contesto più insensato - che propina ai protagonisti e al pubblico impietose banalità spacciate per lezioni di vita.
Spiace per le buone intenzioni degli autori, e spiace di più per l’interpretazione sentita di Jasmine Trinca, che non si esime dall’infondere vita e passione anche in un personaggio mortificato dalla struttura del racconto: ma è difficile mantenersi clementi verso un’opera tanto disastrata. Si può solo dire - e davvero questo lo si afferma senza alcuna malignità aggiunta - che il più che può sperare Nessuno si salva da solo è di essere riciclato come commedia comica. Questo davvero non gli si può certo essere negato: fa ridere dall’inizio alla fine.