Norte, the End of History
Il Delitto e Castigo di Lav Diaz è una folgorante e personale interpretazione del classico ottocentesco, infusa di urgente attualità e rigorosa ricerca
Lav Diaz è un autore dal grande respiro melodrammatico e storico. Il suo cinema, a partire dall’esordio di The Criminal of Barrio Concepcion, è sempre stato attraversato dalle ossessioni del grande romanzo ottocentesco, e da Dostoevskij in particolare. Norte, the End of History è un adattamento cinematografico diretto di Delitto e Castigo nel contesto filippino contemporaneo. Insolitamente asciutto ed essenziale per le sue quattro ore di durata (per un regista come Lav Diaz, solito a minutaggi fluviali, le considerazioni sul tempo e sulla durata sono fondamentali), Norte, the End of History sembra la summa definitiva del cinema del suo autore. Tra le pieghe dell’opera, il senso della sua ricerca umanistica e di un metodo cinematografico appaiono con l’evidenza più assoluta, con l’urgenza più incontestabile.
Fabian (Sid Lucero) è un talentuoso studente di legge che ha abbandonato gli studi per motivi non del tutto chiari. Pieno di sé e convinto sostenitore di una filosofia moralista e nichilista, Fabian uccide un’usuraia che, dal suo punto di vista, rappresenta un essere umano malvagio e impossibile da redimere. Joaquim (Archie Alemania), padre di famiglia in difficoltà economiche e indebitato con l’usuraia, viene condannato ingiustamente per il delitto. Fabian si farà divorare dal senso di colpa e arriverà a distruggere la propria esistenza, mentre la moglie di Joaquim, Eliza (Angeli Bayani), proseguirà un’esistenza di disperata rassegnazione.
I temi della colpa, dell’umiltà e della redenzione dominano il cinema di Lav Diaz quanto la letteratura di Dostoevskij. Gli esiti di questa ricerca, tuttavia, non potrebbero essere più distanti. Norte non è un “semplice” adattamento a un contesto storico e sociale diverso come, ad esempio, il pregevole Delitto e Castigo di Aki Kaurismaki (1983), nel cui nucleo pulsavano le contraddizioni di un libertarismo estremo e di un senso etico narcotizzato. A differenza di Raskolnikov, Fabian non verrà mai condannato per il suo terribile delitto. Nel sistema legislativo filippino – e non solo –, non c’è posto per un investigatore implacabile, infallibile e, in definitiva, implausibile come Petrovich. Joaquim finisce in prigione nel tempo di un’ellisse narrativa, condannato da un Fato che giunge silenzioso e taglia la sua vita per sempre. Lo spazio del poliziesco, anche nel senso di genere cinematografico, viene messo da parte per permettere all’autore di concentrarsi su ciò che gli sta davvero a cuore: osservare i suoi personaggi e il loro rapporto con il Tempo e la Storia, che li trasforma e li mette a nudo per lo spettatore. Lo sguardo di Lav Diaz è di un rigore interrogativo, perennemente in bilico tra osservazione e partecipazione: è uno sguardo antropologico, oltre che antropocentrico. Testimone di coscienze imprigionate in corpi che possono esprimersi solo attraverso gesti, parole imperfette ed esplosioni di violenza, lo sguardo di Lav Diaz si costruisce in discorso sull’uomo e sulla sua muta disperazione.
Le parole della letteratura, il loro continuo scavo nelle menti olimpiche e nevrotiche dei grandi personaggi di Dostoevskij, non sono sopravvissute alla letteratura del ventunesimo secolo. Nemmeno il cinema può permettersi di ignorare il tempo che passa, la storia che prosegue il suo corso. Oggi sappiamo il nome del male che il maestro russo non poteva ancora comprendere appieno: il punto di partenza di Norte è la candida ammissione che Adam Smith ha vinto, il capitalismo ha vinto. La ribellione di Fabian è più vicina a quella di Atlante che a un consapevole atto rivoluzionario, punto esclamativo di un’esistenza altrimenti priva di inflessioni e prospettive.
Che cos’è la fine della storia, se non l’esaurimento delle possibilità intellettuali, degli scenari di liberazione e di futuro? Hic Rhodus, hic salta! Lav Diaz percorre tutte le possibili strade dell’immaginario melodrammatico moderno: la passione politica, la giustizia, le passioni fisiche ed ideali. Strade senza uscita: nulla sembra attecchire su Fabian e sulla società filippina. Ciò che potrebbe essere buono viene irrimediabilmente corrotto. Non ci sono ricompense per la pazienza e la santità senza maiuscole degli umili, che Diaz accosta implicitamente ad una forma di patologica sottomissione al potere: si nutre il fondato sospetto che Joaquim sia, nel profondo, un masochista patologico. Non c’è giustizia: l’unico carnefice di Fabian sarà una coscienza dilaniata dal rimorso e dalla solitudine. La religione è una via di fuga altrettanto illusoria. Dopo quattro ore di estenuante ricerca, Lav Diaz sembra arrendersi all’evidenza che i suoi personaggi sono condannati a non sopravvivere ai titoli di coda di un mondo in decomposizione. Quante volte, nel corso di Norte, abbiamo sentito dire o suggerire che vivere è una maledizione? L’unica grande narrazione e fede che resiste, per quanto mutata e scissa in stato proteiforme, è quella del cinema come apertura al possibile. Lav Diaz crede fermamente nel cinema, almeno quanto Flaubert credeva nella letteratura in cui riversava la sua frustrazione e il suo odio per la società borghese che descriveva così minuziosamente [1]. Testimoni e antropologi, Diaz e Flaubert interrogano il mondo e lo spettatore alla ricerca di linee di fuga e tracce di senso, senza fornire risposte che, umilmente e onestamente, non hanno. Rileggere Dostoevskij tramite la lente di Flaubert: da questo curioso allineamento sembra nascere lo sguardo dell’autore filippino.
Una possibile via di uscita dal labirinto di Norte, solo implicitamente suggerita, potrebbe essere l’impossibile incontro tra Fabian e Joaquim, le cui esistenze sono legate dal sangue di un delitto. Fabian è stato annichilito da perversioni famigliari ed economiche, ma il suo anticonformismo e la sua intelligenza sono difficili da detestare. Fabian, come Raskolnikov, è affascinante e ambiguo. Joaquim, invece, rappresenta la stoica rassegnazione di un popolo che non ha gli strumenti per reagire. Se una via di fuga è possibile, allora passa da qui, da un purgatorio a metà tra l’Inferno di Fabian e l’elevazione (non solo spirituale) di Joaquim.
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[1] Un’affascinante analisi di Madame Bovary e delle idee di futuro e di storia, che trovo rilevante – mutatis mutandis – anche per il cinema di Lav Diaz, si trova nel volume Futuro, di Marc Augé (Bollati Boringhieri 2012).