La rivincita delle sfigate
L’esordio alla regia di Olivia Wilde è un teen drama che prova finalmente a scrollarsi di dosso tutti gli stereotipi del genere nel ritrarre il percorso di crescita di due adolescenti all’ultimo anno di liceo.
Il teen drama è notoriamente uno dei generi più fortunati degli ultimi anni, al cinema come in televisione. Dai classici The Breakfast Club o Mean Girls ai recenti PEN15 o Lady Bird. I personaggi che vediamo muoversi fra i corridoi e le aule dei licei statunitensi sono spesso brillanti e memorabili ma anche, altrettanto spesso, intrappolati in caratterizzazioni e dinamiche narrative usurate e stanche. I codici del teen drama prendono, così, troppo volentieri la forma di stereotipi che non lasciano alle storie abbastanza spazio di formarsi ed esprimersi impedendo al genere di evolvere.
A distanza di trentaquattro anni da The Breakfast Club le figure della ragazza popolare ma antipatica, dell’atleta stupido o della secchiona senza vita sociale sembrano, in molti casi, così indissociabili dal racconto di formazione liceale d’oltreoceano, cinematografico e televisivo, da rendere impossibile una scrittura che non si concentri su di loro, anche solo per rimetterli in discussione o capovolgerli.
Anche il film di Olivia Wilde (regia) e Katie Silberman (sceneggiatura) inizia mettendoci di fronte ad un gruppo di personaggi dai tratti ben noti, funzionali a descrivere il contesto in cui si muovono le migliori amiche Molly (Beanie Feldstein) e Amy (Kaitlyn Dever), le due protagoniste di La rivincita delle sfigate (triste adattamento dell’originale Booksmart). Le due ragazze hanno scelto di concentrarsi sugli studi e sulle ambizioni future rinunciando a frequentare i compagni di classe al fuori delle attività scolastiche, e rifiutandosi di far esperienza di quella parte della vita adolescenziale fatta di socialità, alcool, droghe, sesso, beer-pong e house parties, perché giudicata non degna di conoscenza o, perlomeno, non produttrice di conoscenza utile.
Tuttavia l’appiattimento e la polarità iniziale vengono man mano disciolti da un film che rimette in discussione se stesso e le proprie premesse di genere servendosi delle proprie protagoniste e della loro storia. Alla vigilia della consegna dei diplomi, le due booksmart si rendono conto dell’importanza delle limitazioni che si sono auto-imposte negli anni e decidono di condensare in una notte tutte le esperienze mancate in passato. Il film svela allora la sua struttura di rocambolesca rincorsa dell’esperienza fondatrice e trasformatrice, del cambiamento, che prende le sembianze di una festa in casa del più popolare ragazzo del liceo.
È interessante notare come il punto di rottura e di (vera) partenza del film sia una delle situazioni più classiche del genere – il bagno della scuola, la ragazza che per caso sente i compagni parlare di lei, la pirandelliana realizzazione della propria multidimensionalità – di cui però, stavolta, viene valorizzata la parte più significativa, vale a dire la possibilità di cambiare lo status quo delle cose, di conoscere meglio e davvero l’altro, di farsi conoscere meglio dall’altro e da se stessi. A partire da questa disposizione al cambiamento e alla crescita, La rivincita delle sfigate procede associando al romanzo di formazione delle due ragazze la progressiva umanizzazione di loro stesse e dei compagni di liceo che per anni hanno visto tutti i giorni e che presto non vedranno più.
Quasi impazienti di disfarsi delle rappresentazioni appiattite cui spesso il genere costringe, Silberman e Wilde ritrovano finalmente una freschezza di scrittura e di regia nel ritrarre l’adolescenza. Ogni rapporto fra i personaggi di La rivincita delle sfigate sembra disinteressarsi ai codici sociali e narrativi e interessarsi di più al benessere, alla fecondità del rapporto stesso. Allo spettatore viene offerto il piacere di una progressiva scoperta nel corso della visione, fino al ritratto finale degli adolescenti alla consegna dei diplomi pieno di quell’energia e di quella benevolenza che derivano dall’accettazione di un percorso di crescita che ricorda molto le atmosfere con cui si chiudeva, all’epoca, Mean Girls: quelle di una battaglia finita, di una fase della vita che si conclude.
Sebbene il ritmo dinamico e cadenzato ne renda piacevole la visione, La rivincita delle sfigate è un film colmo di personaggi, linee narrative, stili registici – il pastiche imbastito dalla Wilde spazia dal videoclip all’animazione passando per l’indie, frutto dell’esperienza cinematografica e televisiva dell’attrice – ma quest’eterogeneità di toni e situazioni avrebbe necessitato forse di maggior spazio e respiro. Tuttavia il risultato è un lavoro cesellato, amato, nato dall’impazienza di raccontare una storia che non ha ancora trovato il giusto spazio e credito sugli schermi.
L’ossatura de La rivincita delle sfigate, è bene non dimenticarlo, è quella di una storia a due. Il percorso di formazione che le due protagoniste fanno lo fanno insieme, come coppia di migliori amiche. Al di là delle varie strizzate d’occhio al genere rom-com (su tutte, la scena finale in aeroporto) possiamo dire che la storia fra Molly ed Amy è una storia, se non di amore, sicuramente di coppia, da cui traspare tutta l’importanza del co-protagonismo, del compromesso, della coabitazione volontaria e preoccupata della scena. Deriva probabilmente da questo tutto l’entusiasmo della critica americana per l’esplosione nella cultura pop delle «female buddy dramedies», storie che parlano di un rapporto positivo, sano e benefico seppur conflittuale, fra due donne.