Il gioco delle coppie

di Olivier Assayas

Dopo "Sils Maria" e "Personal Shopper", Assayas mette in scena una commedia umana ai tempi del virtuale che segna, inevitabilmente, la fine di un mondo.

NON FICTION - recensione film assayas

Olivier Assayasdove eravamo?

Intrappolati nello schermo di uno smartphone, davanti al thriller in chat di una personal shopper. Eravamo già dentro le immagini, senza più nessun filtro, trasferiti dall’altra parte. D’altronde, dopo Sils Maria avevamo fatto quel salto e il mondo previrtuale aveva cessato di esistere. Scomparso, come in un libro di Baudrillard. Più di Kurosawa (Kairo), più di Schrader (The Canyons), più di Cronenberg (Maps fo the stars), eravamo sedotti dai fantasmi del presente, avatar anonimi che viaggiano alla velocità della rete.

“Sei tu o sono io?” chiedeva Kristen Stewart al fantasma nel finale di Personal Shopper. Questa domanda continua ad attanagliarci e riguarda anche tutti i personaggi de Il gioco delle coppie  - infelice trasformazione tanto dell'originale Double Vies quanto del geniale titolo internazionale, Non-Fiction. D'altronde si potrebbe porre la medesima questione oggi a tutte le immagini, a tutti i doppi, a tutti gli avatar del presente. Al digitale tourt court. Guardare il proprio riflesso virtuale e scoprire che ci ha già superati. Che siamo troppo lenti, sempre in ritardo, sempre eccedenti.

Olivier Assayas continua il suo personalissimo – e quanto mai attuale - percorso sul virtuale. Allestisce una commedia borghese, ricca di tradimenti e brio, per raccontare la fine di un mondo. Il gioco delle coppie è infatti la fine ideale di quella trilogia inaugurata con Sils Maria. Si configura fin dall’inizio come controcampo di Personal Shopper. Anche qui il mondo è finito, ma nessuno dei protagonisti pare essersene accorto. Borghesi colti e raffinati, che parlano di arte, politica ed economia, tentano – chi più chi meno - di adattarsi al presente, senza rendersi conto di mancarlo in ogni momento. Vivono intrappolati nei retaggi di un mondo ormai estinto. Questo è il loro tragicomico canto del cigno, un’apocalisse di inaspettata leggerezza.

Tutti parlano di tutto: sono intelligenti, ironici e un po’ chic. Disquisiscono in salotto di editoria e di serie-tv, citano Bergman mentre discutono dei rapporti umani ai tempi degli smartphone, parlano di sesso e di sé, in un flusso narcisistico che rilancia, continuamente, la propria oralità. Il gioco delle coppie, infatti, è un film parlatissimo, dove si spendono fiumi di parole per ogni cosa. Dove si cerca ancora di categorizzare, identificare, valutare. Si parla dei tweet come di haiku moderni, del costo dei libri e di privacy, di politica e post-verità. Ma questi personaggi sono troppo lenti, solidi e pesanti, per un mondo che scorre così in fretta. Un mondo liquido, inafferrabile, in perpetua trasformazione. Impossibile da fermare, impossibile da dire e forse perfino impossibile da pensare. Consapevoli della loro fine, i protagonisti del film tentano di ritagliarsi qualche via di fuga. Un po’ d’aria che scalfisca lo stato narcolettico del presente.

La rete, intanto, va da sé: non accetta compromessi o rallentamenti, procede automatica con i suoi algoritmi e le sue inarrestabili mutazioni. E allora, forse, più che disquisire, teorizzare, saggiare, questi personaggi – guardati da Assayas con un’umanità che è l’ultimo, autentico valore morale – devono solo vivere. Smettere di essere continuamente parlati, ma lasciarsi andare a una gita in campagna, a una tenera confessione, a uno sguardo d’amore.  È l’unico modo per fermarsi un po’ e non rimanere soli. Perché in fin dei conti – e questo è il grande valore, totalmente controtendente, di questo cineasta immenso – l’unica cosa che non si estingue sono le relazioni umane. Il bisogno dell’altro, in ogni sua forma, in ogni sua configurazione. Teniamoceli stretti questi affetti, fino alla fine. Oltre la fine.

Olivier Assayas...dove stiamo andando?

Autore: Samuele Sestieri
Pubblicato il 31/08/2018
Francia 2018
Durata: 107 minuti

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