Just as every cop is a criminal
And all the sinners saints
As heads is tails
Just call me Lucifer
‘Cause I’m in need of some restraint
The Rolling Stones, Symphathy For The Devil
Studenti e operai si uniscono in una contestazione contro l’ideologia della nuova società dei consumi, quella che Pasolini definiva “rovina delle rovine”, il popolo nero si schiera per i propri diritti, le donne cercano la propria rivalsa da stoviglie e tendaggi. Moriva il Che e nascevano i primi disarmanti impulsi beat. Era il 1968 e si urlava contro la guerra del Vietnam, la politica aggressiva venata di corruzione, l’informazione strumentalizzata e l’autorità che si celava dietro la prolificazione di immagini mercificate inneggianti al potere dei più forti. C’èrano le fabbriche in sciopero, le piazze occupate e manifesti di proteste. C’erano Woodstock, le droghe, la musica e la poesia a combattere il malessere di una società avvelenata. E mentre qualcuno si armava dell’unica forza delle parole, qualcun altro impugnava la macchina da presa per sfrondare quella realtà fino all’essenza più pura e conturbante delle cose.
In concomitanza con i movimenti sociali e i fermenti culturali, Jean-Luc Godard dà avvio alla propria rivoluzione insita nel mezzo cinematografico con un attivismo senza remore che lo vede scendere in campo. Con Le Mépris si innesca una forma di protesta che coinvolge il suono, la parola e l’immagine, rivelando dietro la percezione straniante tutta la potenza assordante di un messaggio politico. Uno più uno fa tre e Godard incontra i Rolling Stones per una duplice visione dell’America. Lui francese, ricco, intellettuale, radical-chic, marxista-leninista e provocatore; loro inglesi, di estrazione proletaria, esibizionisti, anime di un rock macchiato di sonorità blues che fanno discutere parlando di sesso e trasgressioni. Entrambi portano alla luce il malcontento di intere generazioni nell’incarnare e dare voce al problematico spirito del tempo. Contrapposti alla freschezza melodica dei Beatles, queste pietre rotolanti ne incarnano l’alternativa sporca e brutale, già proiettata nel giro infernale della dimensione industriale. Girato in Inghilterra con una troupe inglese One Plus One – Sympathy For the Devil si divide in cinque quadri dal titolo ironico che riflettono la concezione godardiana del cinema e del Sessantotto. Il cineasta militante fa proprie le tensioni del periodo e si cimenta in opere simili a pamphlet costruite su associazioni visive e sonore che rivisitano i tradizionali schemi fino a modificarne il messaggio stesso. Lunghi interventi senza pause, violazione delle regole su cui poggia il cinema classico, distorsioni di senso, asincronie audiovisive rivelano un’anarchia percettiva che trasmette il senso di rottura e la necessità di sconvolgere schemi consueti per crearne di nuovi, riflettendo il mood sovversivo di quel periodo. Il maestro della Nouvelle Vague porta avanti quel processo di ridefinizioni che era iniziato con Le Mépris. Assenza di dialoghi a vantaggio di citazioni, interviste, scarti e brani politici – per una sovrapposizione di messaggi che lascia lo spettatore attonito – si trovano uniti sulle note di Symphathy For The Devil nell’atto stesso della sua nascita.
La voce di Mick Jagger, i riff di Keith Richards, la precisione di Watts e la solitudine disperata di Brian Jones che ne preannuncia l’imminente morte siglano un’idea di cinema che vuole riscrivere i limiti della rappresentazione cinematografica. La compenetrazione di banda musicale e banda visiva si intreccia alla militanza delle Black Panters che fanno sfilare donne in tuniche bianche insanguinate sotto il controllo virile di armi, nella desolazione di un cimitero di auto. La musa godardiana Anne Wiazemsky si erge a Democrazia Liberale e vaga annoiata in un bosco mentre concede distrattamente un’intervista prima di essere immolata su una gru fiancheggiata dalle bandiere ideologiche, una rossa e una nera. Al di sotto, una spiaggia che assiste al volo di gabbiani contro un cielo plumbeo. Scritte rivoluzionarie sulle superfici cittadine si alternano alle immagini di una fumetteria porno dove si ascoltano versi del Mein Kumpf e si schiaffeggiano giovani ebrei fatti prigionieri. Su tutto la voice over dei brani taglienti di Eldridge Cleaver. Si innesca un cortocircuito sensoriale che investe ogni cosa, dalle istanze sentite con urgenza alle storie di spionaggio intrise di sessualità, su cui scivola il rock contaminato dei Rolling Stones
Rinominato dal produttore Iain Quartier Symphaty For The Devli, principalmente per fini commerciali, One Plus One offre una pluralità di visioni extra e intra-diegetiche che lasciano emergere tutte le contraddizioni sociali. Proiettato il 29 novembre 1968 presso il National Film Theatre di Londra, il film, stravolto dalle operazioni industriali, provocò l’ira di Godard che salì sul palco per invitare la platea a visionare la versione originale all’esterno, sotto il ponte di Waterloo. L’allucinazione di immagini mescolate a loop vocali, tempi morti, movimenti circolari e impressioni fugaci danno adito ad una riflessione politica da cui emergono la demonizzazione dei benpensanti e la critica all’era capitalista, in un’opera che esula da ogni genere convenzionalmente definito e riesce a raccontare un periodo saturo di elettricità senza la necessità di ulteriori spiegazioni. Proprio come i suoni spinti sull’orlo di nuove percezioni che i Rolling Stones riescono ad infondere, anche solo dagli interni colorati dello studio di registrazione.