Piccoli Brividi
I Piccoli Brividi prendono vita. Si salvi chi può!
Ancora una soglia, dalle sembianze di un vortice, ci porta in altri mondi. Questa volta a cambiare è solo la traiettoria, non c’è nessun portale per raggiungere la terra di Lilliput, che fa evadere il protagonista dalla sua condizione di inamovibile loser. Il percorso è inverso, il fantastico piomba, come consuetudine, nella presunta apatia del suburb sotto forma di un immaginario altro, quello dei Piccoli Brividi, che non è poi così differente da un supporto di memoria. I libri di R.L.Stine diventano così possibili storie cinematografiche e invadono fisicamente la quiete della più classica provincia americana.
Seguendo le logiche di un teen movie che riecheggia nostalgicamente il tipico clima del fantastico adolescenziale degli anni ottanta (senza trascurare le amorose suggestioni contemporanee a la Twilight), Rob Letterman realizza un’avventura dal sapore retrò che invade lo schermo come un’allucinazione di Joe Dante e ricerca, con fare scanzonato, il senso di meraviglia tipico della poetica di Spielberg. Un’operazione a suo modo museale, simile al fortunato dittico di Shawn Levy, che si diverte nel riunire in un’anarchica baldoria tutti i mostri che hanno dato vita a una delle serie più famose dell’horror per ragazzi. Le creature frutto della mente di un R.L.Stine, un burbero e misantropo Jack Black (nero non solo di cognome), provengono da un outer space e assaltano nella loro incontenibile follia burtoniana l’apatia di un mondo pieno degli spettri del passato. Non vi è, infatti, troppa differenza tra il lutto di Zach e l’infanzia difficile, solitaria, dello scrittore, entrambi personaggi legati a una dimensione magica che sembra perduta. La dice lunga l’ossessiva volontà di Stine di mettere sotto chiave i frutti della propria fantasia, quasi facessero parte di un tempo con cui non è bello riavere contatti. Certo, i mostri non sono quanto di più amichevole ci sia, ma ciò non toglie la reale condizione di un’età adulta ancora vittima del bambino ferito. Ecco quindi che la banda capitanata da Slammy (il Pupazzo Parlante), sovverte l’apparente controllo e rimette in discussione una fuga nel presente che solo una nuova storia da scrivere, cauterizzante, può ristabilire; una storia che è l’incontro intergenerazionale tra un autore padre e, chissà, forse un suo futuro figliol prodigo.
Rob Letterman sceglie una fotografia liminale che richiama esplicitamente l’animazione, tra tonalità acide e fluorescenti suggestioni, e si lascia andare in un impianto citazionistico assai giocoso nel rendere omaggio a tanto cinema di genere, allo stesso modo della sua matrice letteraria essa stessa un’esaustiva collezione di caratteri orrorifici. Tra mantidi religiose giganti, licantropi, mostri delle nevi, fluidi mortali, zombie, di tutto e di più, messi in scena con una varietà di soluzioni e un ritmo serrato che è un piacere per chi guarda. Piccoli Brividi è un toccasana tra il vuoto dell’offerta cinematografica per i teenagers e si ritaglia con merito la possibilità di un sequel. Perché il ragazzo invisibile non è caduto nella ghost-trap ed è pronto a creare zizzania.
Who you gonna call? R.L.Stine!