Uno dei veri piaceri di chi segue il cinema con passione è quello di vedere un grande e sottovalutato attore, rinchiuso fino a quel momento in ruoli da caratterista, emergere agli spazi e alla gloria dei veri protagonisti. Il cinema americano – che non a caso poggia buona parte delle proprie fondamenta sull’estrema professionalità dei suoi attori secondari – è ricco di storie del genere, molte delle quali appartengono agli anni più recenti: viene in mente Viggo Mortensen, emerso con Il Signore degli Anelli e fiorito sotto la regia di Cronenberg; viene in mente il talentuoso Paul Giamatti, scoperto da Hollywood e dal grande pubblico solo con Sideways – In viaggio con Jack; viene in mente Philip Seymour Hoffman, le cui bravura e carriera sono esplose solo nel 2005, quando con Truman Capote: A sangue freddo dimostrò a tutti di essere uno degli attori più possenti in circolazione, status confermato dal successivo Onora il padre e la madre. Considerato ciò risulterà facile immaginare la curiosità e le aspettative emerse alla notizia che Hoffman, una volta affermatosi, si era anche cimentato nella regia. Realizzato nel 2010 e presentato al Sundance di quell’anno – oltre alla scorsa edizione del Torino Film Festival – Jack Goes Boating segna quindi l’esordio dietro la macchina da presa di un attore straordinario.
La carriera di attore di Hoffman è stata legata fin dall’inizio alla scena indipendente, Cameron Crowe come e soprattutto Paul Thomas Anderson, e a quel modo di sentire e fare il cinema Jack Goes Boating fa pieno riferimento, tanto nella storia quanto nella messa in scena. Protagonista della vicenda è il Jack del titolo (Hoffman stesso), un uomo solitario e introverso, sorta di bambino non cresciuto privo di molta della malizia e della disillusione propria degli adulti. Lavora nella compagnia di limousine dello zio di un suo amico e collega, Clyde (John Ortiz), a sua volta alle prese con il matrimonio difficile con Lucy (Daphne Rubin-Vega). Tradimenti, cinismo ed altre malattie del tempo affliggono la coppia di amici di Jack, che trova comunque l’occasione di organizzargli un appuntamento con Connie, la nuova collega di Lucy. Similmente a Jack, anche Connie vive in una sorta di sospensione, uno stato di ingenuo stupore e timore per il mondo esterno, ancora per lo più sconosciuto. Accumunati da questo candore interno i due avvieranno un lento processo di avvicinamento, in una New York che dalla neve dell’inverno passa ai caldi, alleniani, colori della primavera. In un moto incrociato assistiamo però anche alla messa in crisi del matrimonio di Clyde e Lucy, e mentre Jake impara a nuotare e a cucinare – a vivere – per Connie, i suoi due amici soccombono ai colpi che una relazione lunga anni pare destinata a subire.
Il passaggio di un grande attore dietro la macchina da presa può riservare sempre delle sorprese – vedi George Clooney con Confessioni di una mente pericolosa – ma spesso ci si trova di fronte ad un prodotto ben realizzato, calibrato, ma privo di quella marcia in più, e Jack Goes Boating purtroppo non fa eccezione a questo paradigma. Per il suo debutto Hoffman sceglie di trasferire sullo schermo l’omonima pièce teatrale scritta da Robert Glaudini e portata da lui stesso sulle scene; ne mantiene parte del cast – in particolare l’ottima scelta John Ortiz, suo vecchio amico e fondatore con lui della compagnia Off-Broadway LAByrinth Theater Company – e vi aggiunge nel ruolo di Connie la brava Amy Ryan, con la quale ha lavorato in Truman Capote – A sangue freddo e Onora il padre e la madre. Si circonda quindi di elementi e protagonisti familiari, per realizzare un film che appare di fatto come un’intima dichiarazione di affetto, un personale gesto di riconoscenza nei confronti di quel tipo di cinema nel quale si è definito come persona e attore. Tanto nelle soluzioni registiche quanto nella sceneggiatura Jack Goes Boating manifesta un’appartenenza chiaramente indie: personaggi sommessi, sospesi tra tenerezza ed ingenuità; una storia d’amore felicemente romantica intrecciata ad un percorso di formazione; ricorso alla musica pop per rilanciare molti passaggi emotivi; regia delicata e non invadente, priva di virtuosismi e ricercatezze ma ben presente nel taglio dell’immagine.
In conclusione Jack Goes Boating si rivela esattamente, ma solo, ciò che è, un buon esordio. Se la sceneggiatura appare infatti tutto sommato scolastica, dotata di spunti interessanti – su tutti le lezioni che Jack deve intraprendere per poter stare con Connie – ma propri di un solco già tracciato in passato, anche la regia di Hoffman, pur regalando diversi momenti estremamente azzeccati ed un’ottima direzione degli attori, non riesce – o non vuole – liberarsi di quei modelli a cui fa riferimento (Anderson su tutti), omaggiandoli con buona competenza ma senza guizzi particolari.