Predestination
Il nuovo film dei fratelli Spierig è un meccanismo temporale preciso e calibrato, un orologio che misura il paradosso del tempo.
Tornano i fratelli Spierig con il loro carico di genere misto, presentando il loro nuovo film, Predestination, al South by Southwest prima e in diversi altri festival, da Toronto all’iberico Sitges. Dopo aver riportato il loro amore per il b movie ed in particolare per il genere comedy horror con Undead, film a basso budget che ricalibrava lo zombie movie su scenari fantascientifici, e dopo aver rispolverato il mantello vampiresco con Daybreakers, definendolo come potere dispotico di un mondo dove l’uomo è sull’orlo dell’estinzione per la fame di sangue; i gemelli australiani ci raccontano la storia di un timecop. Il film è tratto da un racconto di Robert Heinlein, Tutti i miei fantasmi (All you Zombies..) del 1959, lo stesso scrittore da cui è stato liberamente tratto Starship Troopers – Fanteria dello spazio. Un timecop, per fermare un dinamitardo stragista, viaggia nel tempo impugnando una custodia di violino, questo lo porterà in un bar ad interpretare il ruolo del barista, ed ascoltare l’incredibile storia di una persona giunta al bancone e pronta a sfidare, per una buona bottiglia d’alcol e con l’orecchio disposto alla meraviglia del racconto, l’incredulità del timecop. Nel tentativo di salvaguardare la trama dallo spoiler, la storia raccontata nasconderà qualcosa di molto più inevitabile.
Continua il sodalizio tra i fratelli Spierig e Ethan Hawke, già protagonista di Daybreakers, questa volta il ruolo di coprotagonista è affidato all’ambivalente interpretazione di Sarah Snook, eccezionalmente calata nella parte più difficile, un uomo che un tempo fu donna. Il film è proprio appartenente al loro genere prediletto, la fantascienza, ma ancora una volta mista ad altri generi collaterali, godendo di una storia fanta-thriller dalle atmosfere noir in un contesto avveniristico steampunk. Dopo essersi burlati con l’horror raccontato come in un romanzo di Adams e con il genere vampiresco-fantascientifico, il duo di gemelli registi realizza il film più maturo della loro filmografia. Un meccanismo perfetto e disorientante, soprattutto alla prima visione, un film che formalizza il tempo riuscendo a narrarlo nel suo continuo ed infinito scorrere e ripetersi, legato da quell’inevitabilità degli eventi che si rincorrono come in un nastro di Moebius. Lavorando sul tempo, i fratelli Spierig ci dimostrano la loro teoria paradossale, cioè quello sfasamento tra l’immagine ed il suo movimento in divenire, quella casualità degli effetti stretta in un loop temporale, restituendoci un film che vive di diverse immagini di un’unica sola unità, come se l’identità di una persona fosse generata dai continui (e ricorsivi) fantasmi che da lei vengono generati. Una schizofrenica identità divisa tra i differenti spettri che ogni linea temporale suggerisce. Un film dove tutto è intreccio e dove la fabula è ridotta al grado uno della sua narrazione, un film che inizia, continua e si conclude con un solo e semplice intento: raccontare la storia di un timecop. Un film ben riuscito e confezionato, troppo caotico alla prima visione, ma stratificato (sul tempo) e ben rappresentato (nello spazio). Film tenuto in piedi da diversi colpi di scena ben calibrati, ottime le interpretazioni e, per quanto la trama ne necessiti, anche le caratterizzazioni. L’attenzione dello spettatore resterà ancorata dallo scorrimento delle cifre sul violino, date temporali necessarie per orientarsi in un corpus filmico strutturato da analessi e prolessi cadenziate dallo svolgimento di una trama principale legata al tempo della sua rappresentazione. Un’opera godibile ed interessante (se trattata nel divenire, senza il rischio, quindi, di spoiler) dalla quale poter far scaturire profonde riflessioni narratologiche.