Prigionieri di una fede

La voglia di vincere non è importante

quanto la voglia di prepararsi a vincere.

Gli equilibristi, ovvero una delle visioni italiane più emozionanti e convincenti di questo 2012, esclusi Bertolucci e Bellocchio che, per meriti acquisiti sul campo, non possono rientrare in una classifica che comprenda anche Franchi o Bruno o la Comencini (col dovuto rispetto) . Una secchiata d’acqua gelata giunta a rinfrescare membra assopite da commedie sempre uguali a sé stesse, ardentemente finalizzate al puro intrattenimento o, qualora gli obiettivi fossero un tantino più elevati, miseramente mancati.

Di Ivano De Matteo, artefice massimo del piacere di quella visione, vogliamo tornare a parlare, inaugurando una retrospettiva che possa portarci un pochino più addentro il suo lavoro di regista, la sua capacità di raccontare il paese che siamo diventati attraverso micro-storie, fegatelli di realtà, attraverso voci altrimenti inascoltabili. Un lavoro di documentarista che sicuramente non raggiunge il livello dei suoi lungometraggi di finzione: Ivano De Matteo non appartiene a quella categoria di registi nati per il documentario ed approdati alla finzione come prosecuzione naturale di un lavoro sul racconto per immagini. Il contrario semmai, se è vero che i suoi due lungometraggi di finzione – ai quali approderemo al termine di questo percorso nel suo cinema – vantano elementi di ben più solido interesse. È un cammino ascendente il suo, che nasce tra la folta vegetazione cementificata della metropoli ed approda nel medesimo habitat, spogliato però nel corso degli anni dei suoi rami più insidiosi, attraversato con sempre maggior disinvoltura.

Prigionieri di una fede è il punto da cui partiamo, l’inizio del cammino, il più acerbo forse, il meno convincente ma non per questo il meno interessante. Prigionieri di una fede è tutto ciò che il suo titolo tradisce: un racconto di tifo, confessioni da ultras, parole taglienti quanto vuote. Di battaglie e scontri, di vincitori e di vinti in faide tra gruppi di sostenitori opposti. Non è questo che può interessare in questo luogo, di quale sia il gruppo più violento, quale il più coraggioso, quale il più numeroso ci interessa il giusto, ossia niente. De Matteo è il punto d’osservazione, e De Matteo si dimostra in questo primo fugace sguardo estremamente aderente al suo lavoro: soffre il tempo trascorso. Prigionieri di una fede è un documentario che, ad oggi, accusa moltissimo i suoi anni, vittima di cambiamenti e di repressioni che hanno minato il mondo ultras tutto; così il suo regista ne esce rimandato, con la piena consapevolezza che gli anni a venire ce lo doneranno ben più intrigante dal punto di vista della narrazione, ben più elegante dal punto di vista dello stile.

Autore: Marco Giacinti
Pubblicato il 22/08/2014

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