La canzone neomelodica e popolare napoletana, per chi risiede fuori dall’hinterland campano, per molti versi è un mistero. Non che non se ne sappia a sufficienza e non che non se ne conoscano le personalità più in vista (da Mario Merola a Gigi D’Alessio). Quello che rimane un mistero è il sottobosco di questa cultura melodica, del perché una tipologia così tradizionalista continui a fare proseliti; perché un abitante della Campania sia più affascinato dai cantanti neomelodici piuttosto che dai big internazionali sempre presenti nelle radio in alta rotazione; perché nelle radio locali l’alta rotazione sia riservata ai neomelodici piuttosto che ad altri; del massiccio commercio locale di musicassette e compact disc di tutto il filone musicale citato. Del perché, in buona sostanza, nel 2012 un cantautore come Enzo Gragnaniello in Campania conti più seguaci di Ligabue, Vasco Rossi o Beyoncé.
Gaetano Di Vaio con la sua casa di Produzione Figli del Bronx tenta di rispondere a questa domanda, affidando la macchina da presa al regista Carlo Luglio che per rispondere al meglio al quesito fa appello al protagonista sopracitato, Enzo Gragnaniello in persona. Luglio crea su misura per Gragnaniello un’opera assai elaborata, sicuramente multiforme. Mettendo da parte gli ibridismi e privilegiando invece la complementarietà delle tipologie audiovisive, Luglio crea un’opera che è documentario, finzione, farsa, apologia e antropologia, sempre contrappuntata da immagini di repertorio di una Napoli che non c’è più. E nel farlo non fonde mai i diversi stili, lasciandoli giustapposti ma mai comunicanti fra loro. L’esito è inconsueto e per questo di particolare interesse, per un’opera che del neomelodico non fornisce risposte dirette preferendo appoggiarsi sulla mitologia e iconografia ad esso ascrivibile.
Questa risposta indiretta è forse la migliore delle soluzioni possibili, che senza affermare evidenzia però nei fatti la potenza di una simile cultura che prima di essere melodica è inscritta nel DNA partenopeo. Realtà, finzione, documentario, immagini di repertorio, siparietti e onirico, tutti giustapposti nel tentativo di rendere la complessa e sfaccettata colorazione dell’arcobaleno musicale napoletano. Presente e passato uniti dalle melodie di Gragnaniello a consegnare quest’opera, Radici, di discreto interesse in virtù delle sue qualità multidisciplinari.
A margine dell’analisi vale la pena spendere due parole in più sulla valenza che una casa di produzione come quella di Figli del Bronx significa, sottolineando l’intelligenza delle scelte autoriali e produttive operate da Gaetano Di Vaio. La casa di produzione ha infatti inteso il suo compito culturale e sociale nel più arguto e multidisciplinare dei modi, offrendo nel suo carnet produttivo delle scelte audiovisive che offrono una visione della cultura napoletana quanto più articolata possibile, spaziando fra tanti temi e affidandosi sempre ad esperti dei campi indagati, scelta atta a garantire un’attenzione particolareggiata dei temi che permette una resa sempre accurata e di rilievo delle opere realizzate. Dei Figli del Bronx su queste pagine se ne è parlato e se ne parlerà ancora, in ragione di una realtà produttiva che non può essere ignorata viste le sue atipiche qualità.