Quella notte a Miami...
L’esordio di Regina King è cinema didattico e politico nel senso più libero del termine, un film magnifico che corre fino al termine della notte, lì dove mito e immaginazione si uniscono chiudendo il cerchio.
La notte è quella del 25 febbraio 1965, quando un Cassius Clay appena ventiduenne abbatte il super favorito Sonny Liston. Strafottente, ironico, veloce al limite dell’incredibile, Clay è campione dei pesi massimi. Ma per festeggiare evita stampa, fan e party anodini, preferendo un motel di seconda classe (poche alternative per un nero a Miami negli anni Sessanta), l’Hapton House, dove si circonda di amici e sodali tra cui tre figure storiche che sfiorano, come lui, lo statuto del mito: Malcom X, Sam Cooke e Jim Brown, rispettivamente leader dei movimenti civili, re del soul e miglior giocatore di football di sempre. I quattro sono protagonisti pivotali di quegli anni, simboli di affermazione black e lotta contro la discriminazione, ciascuno punto di riferimento per percorsi diversi e ugualmente urgenti, impattanti contro il tessuto fangoso e ispido di una società intessuta di razzismo sistemico e classismo. Non sappiamo quali furono gli argomenti affrontati quella notte, ma al mattino, davanti all’hotel, con Malcolm al suo fianco, Cassius annuncia ai cronisti la sua conversione all’Islam.
Fino a qui è Storia, cronaca di un incontro tra pesi massimi di cui restano solo ricordi sbiaditi, testimonianze frammentarie, fotografie (splendide quelle di Bob Gomel, forse il più grande fotoreporter degli anni Sessanta, l’unico presente quella notte). E da quei ricordi e quelle immagini parte la ricostruzione finzionale di Kemp Powers, che nel 2013 offre la sua versione nella pièce teatrale One Night in Miami…, grande successo di pubblico e critica che passa al grande schermo attraverso la regia di Regina King, attrice magnifica e pluripremiata (un Oscar, un Emmy, quattro Golden Globe). E anche qui l’incontro è tra pesi massimi, perché se Powers nello stesso anno ci regala anche sceneggiatura e co-regia di Soul, la King è all’opera prima e già dimostra un’eleganza e consapevolezza registica sorprendenti, oltre che un talento smaccato nella direzione attoriale. È merito suo se il confronto tra quatto uomini, figure storiche degli anni Sessanta, diventa l’occasione per riflettere sul presente e su questioni interraziali complesse, compresi aspetti riguardanti la prospettiva femminile, senza che questo porti mai a snaturare la naturalezza del racconto e la sua storicità. Teniamoli d’occhio, questi due nomi, perché se le cose girano come devono sono appena agli inizi.
Presentato a Venezia in Fuori Concorso e distribuito in fase pandemica da Prime Video, Quella notte a Miami… è un esempio brillante di come oggi, anche in piena saturazione di immagini e racconti, il cinema possa riflettere sui canoni del mito e sulla sua rappresentazione rivendicando un attivismo morale, civile, umano per cui “politico” non è solo aggettivo ma tratto ontologico, fenotipico, manifesto di un discorso filmico che schiva le trappole della retorica, del simbolismo, del tema importante e programmatico a cui assoggettare personaggi e vicende. Quella notte a Miami… è piuttosto un meccanismo lucidamente mitopoietico messo in atto per raccontare il politico attraverso l’umano, la Storia attraverso le storie, e che sa dare importanza e rimettere al centro del discorso il ruolo e la necessità dell’ideale. Ogni lotta ha bisogno di immortalare i suoi simboli ed eroi, e vedere Malcolm attraversare il film macchina fotografica alla mano, catturando per tutta la sera ricordi e pose ed energie del momento, non è solo vedere la Storia nel suo farsi ma anche nel suo cercare, trovare e di lì tratteggiare, plasmare, limare le sue figure eroiche, in tutte le loro contraddizioni e debolezze. Cronaca o finzione che sia, da qui nascono nuovi sbocchi e direzioni, quelli di ieri e di oggi. Perché, se la realtà ha lo scopo di fecondare gli eventi con l’energia e la voglia immanente di combattere e liberarsi dalla più bieca oppressione, il cinema può cogliere quella lotta e renderla immagine, terreno di confronto, dispositivo dialettico che inscena le figure del mito e contemporaneamente le crea, mostrando nel suo farsi quanto sia importante e necessario dare forma iconica alla lotta.
Di qui il tono fiabesco del titolo di Powers, quel senso di c’era una volta da cui nascono le leggende che poi si raccontano e raccontano ancora, di parola in parola, anno in anno, per ricordare ciò che è stato e immaginare qualcosa di diverso, per imparare. Ecco, Quella notte a Miami… è cinema politico in senso puro e potente perché è cinema didattico, è cinema che insegna (a guardare, a ricordare, ad agire) e che al contempo impara, perché al suo interno si fa arena discorsiva che innesca un’autoanalisi morale, clinica, storica. I protagonisti infatti sono quattro diverse incarnazioni di mascolinità e professionalità, quattro modelli di azione politica e consapevolezza, quattro fasi della vita che come fossero schegge psichiche di un unico individuo collimano e discutono tra loro. Si va dall’esuberante energia giovanile di Clay, in cui l’entusiasmo si affianca all’ingenuità e al bisogno di trovare figure di riferimento, all’adolescenziale e mal sopito bisogno d’affermazione di Sam, che sa bene quanto conti la dimensione economica nell’affermazione sociale; dal timore rabbioso e rigido di Malcom, con un piede nell’età della disillusione e l’altro nella determinatezza piena e scolpita nella roccia, alla prospettiva più distaccata e matura del colto Jim, unico del gruppo ad avere un’educazione di alto livello e una consapevolezza posata del suo ruolo sociale. Viene in mente la lettura psicanalitica de Lo squalo, per cui Martin Brody (Super-io), Quint (Es) e Matt Hooper (Io) tripartiscono le componenti psichiche dell’individuo, solo che qui il prototipo è quello dell’uomo black di successo, dotato di ruolo e responsabilità sociali, i cui frammenti entrano in contrasto partecipando a un discorso dialettico che si nutre di contraddizioni, paure, errori, ma la cui conflittualità è l’innesco da cui deriva forza e nuove forme di consapevolezza.
Ma attenzione, nonostante sia evidente che i quattro personaggi sono scritti con cipiglio strettamente contemporaneo, e che quella di cui si discute è anzitutto la lotta presente e le sue implicazioni, Quella notte a Miami… è, come dicevamo, Storia attraverso le storie, e non c’è un momento in cui l’importanza del mito, il conflitto dialettico, l’orizzonte politico offuschino in qualche modo lo spessore umano dei personaggi, autonomi rispetto alla dimensione militante del film e anzi partecipi attraverso le loro psicologie. Per quanto il setting di partenza sia costruito a tavolino, e tutta l’opera non sia che un kammerspiel di confronto tra caratteri esemplari, il film funziona come racconto e meccanismo di immedesimazione perché Malcolm, Sam, Cassius e Jim arrivano allo spettatore come figure piene e tridimensionali, grazie certo alla scrittura consapevole di Powers ma anche alla regia di Regina King, che dona linfa vitale al tutto e riesce con grandissima padronanza registica a gestire i continui confronti dosando la disposizione spaziale, i corpi attoriali, gli sguardi e gesti che sempre dialogano con la tradizione individuando nell’iconografia storica gli elementi per uno scavo psicologico. Che sguardo magnifico è questo, che energia e voglia di abbracciare i propri protagonisti e amarli e seguirli fino al termine della notte, lì dove mito e immaginazione si uniscono chiudendo il cerchio.