Speciale The Witch - Il sesso della strega
L’esordio di Eggers è un esaltante horror ancestrale che (con)fonde estasi ed erotismo, istante sacro e istante profano, orgasmo e visione.
”Il mondo si genera nel delirio”, scriveva Cioran in Lacrime e Santi, ”fuori di esso tutto è chimera”. Tornano alla mente queste parole, concepite nelle tormentose notti d’insonnia cioraniane, mentre si assiste all’esaltante esordio di Robert Eggers, The Witch. Vacillano i canti degli angeli, le streghe sulla terra si accoppiano con i figli degli uomini, il maligno si manifesta quale pulsione sessuale, erotismo sfrenato e violentissimo che demolisce qualsiasi profilassi. La metafora del fuoco si riflette come un incendio all’interno delle tenebre del New England seicentesco. Non c’è sacralità senza orrore, non c’è tremore spirituale senza timore, non si perturba se non tornando alle paure costitutive del nostro stesso essere.
The Witch somiglia a un film oscuro e proibito, perduto tra le voluttuosità della carne, abbandonato alla sottoesposizione di un’immagine dove la notte non ha luce (in una maniera non poi così distante dal cinema vibrante di Grandrieux). Si vede poco, sempre meno, come se fossimo dispersi tra le tenebre dell’inconscio cristiano. In quest’oscurità senza fine, il fuoco è una macchia di luce calda, un fulgore infernale che incendia, solleva ed esalta, fino a farsi simbolo di un’estasi perversa, che è, anzitutto, un‘estasi sessuale.
Tornati alle radici stesse della vita, i personaggi di The Witch sono succubi di visioni irrefrenabili. Il fascino del film di Eggers è anzitutto qui: la diffusione del male si propaga sottoforma di virus, il suo germe si ritrova nelle presunte polluzioni notturne dell’infante, negli sguardi proibiti, nei pensieri mai confessati, memori di un peccato originale che rilancia, continuamente, la sua natura sessuale.
Il volto candido di Thomasin è custode di una malizia infinita, la bellezza dei suoi lineamenti è, per dirla alla Rilke, il principio del tremendo. La radice del sacro, il ritorno a un orrore primordiale, terremota lo sguardo in un regime di continua presenza/assenza dell’individuo. Il soggetto si emancipa da sé, sedotto da streghe e creature diaboliche. Qui la soggettività si spezza, l’uomo non abita più il mondo ma è letteralmente abitato dal mondo e dai mali del secolo. E’ questa mancanza di controllo sul sé, quest’impossibilità di contenersi, a generare il peccato in The Witch.
Il film di Eggers, utilizzando l’iconografia tradizionale della cultura occidentale, ritorna alle logiche del sacrificio e dell’esorcismo, al pensiero estremo del cristianesimo più radicale, quello di matrice agonistiniana/calvinista, che pensa l’individuo continuamente, strutturalmente propenso al peccato. Abbandonato dalla grazia, l’uomo è una maledizione, il suo moto non è mai ascensivo, ma in caduta libera.
Tutto The Witch ci porta a vedere come in uno specchio oscuro, deformando le proprie superfici, riportandoci a un’idea primitiva dell’uomo e dei suoi istinti. Dalla preghiera all’omicidio, dalla dimensione rituale della vita santa all’estasi sessuale della nuova strega: uccidere la propria madre, tagliare i vincoli morali, arrivare al punto più basso per essere di nuovo eletti, non più nel regno di Dio, ma in quello dell’Angelo Caduto che ha le corna di Black Phillip e gli occhi di un coniglio. Il nucleo famigliare di The Witch si svuota, si uccide a vicenda, si annulla fino a perdere la ragione. E’ in questo evacuarsi, in questo destrutturarsi, in questo spezzarsi che il Male richiama a sé le creature: ontologicamente nulle, esse vengono disperse nella terra del caos.
Come in una fiaba (che è il codice narrativo/estetico primo di The Witch) la nuova Principessa è condotta nel bosco per trasformarsi in una strega. Se il calvinismo e tutto il cristianesimo di matrice apocalittica identificano nel peccato originale una metafora di chiaro riferimento sessuale, The Witch prende due categorie, estasi ed erotismo, e le (con)fonde, fino a farle dissolvere una nell’altra. Quello di Eggers è, in fondo, un film sulla paura del sesso e sulla sua sublimazione. La sessualità della famiglia protagonista è continuamente repressa, negata, sempre pronta a esplodere per rivelarci, in fondo, ciò che siamo. Così come l’estasi è il sogno sacro di una fuoriuscita da sé e di un ingresso nel regno di Dio, il sesso è il suo doppio negativo. Da una parte l’estasi dell’angelo e dal santo, dall’altra il sesso del Diavolo e della puttana: entrambi mirano solo all’acme del piacere, all’istante qualitativo allo stato puro. Di nuovo Cioran: “Ogni forma di estasi sostituisce la sessualità, che non avrebbe alcun significato senza la mediocrità delle creature. Ma dato che queste non hanno altro mezzo per uscire da sé, la sessualità provvisoriamente le salva. L’atto in questione va al di là del suo significato elementare – è un trionfo sull’animalità, perché a livello fisiologico la sessualità è l’unica porta aperta sul cielo”. In The Witch la porta aperta sul cielo è un’estasi sessuale, un desiderio eterodiretto, un’espropriazione della propria identità.
Tutti i personaggi sono guidati, chiamati, invocati, abitati al loro interno da una luce diversa da tutte le altre. Ma d’altronde i sabba, come tutto l’immaginario stregonesco, hanno sempre rappresentato il trionfo estremo della sessualità: si pensi alle rappresentazioni del Goya, alle immagini perturbanti de La Stregoneria attraverso i secoli, al potere irriducibile del male. L’energia dionisiaca s’iscrive quale demone sotto la pelle del cristiano, fantasia illecita e orgiastica, follia ultima e coitale. I primi segni con cui si manifesta sono uno sguardo lascivo e malizioso, la scoperta del proprio corpo in pieno fermento puberale, il desiderio del piccolo Caleb verso le forme della sorella, Thomasin, che gli sorride nel non-detto più esplicito del desiderio.
L’inaccettabile ambiguità sessuale (ammessa solo dalla Madre) tra il Pater familias e sua figlia Thomasin, ci fa intuire un precedente legame sessuale padre-figlia. Lei è oggetto del desiderio, ragazza rifiutata dalla famiglia, umiliata e offesa, che si aggirerà nei boschi per trasfigurarsi in strega (il suo percorso, in fondo, non è poi così dissimile da quello leggendario di Carrie).
Nella comunione tra sacro e profano, tra sesso ed estasi, si trova dunque il cuore fondante del film: si pensi alla morte di Caleb, alla lotta interna tra Bene e Male, tra il Diavolo che lo tira verso il basso e Gesù suo salvatore che lo innalza al cielo. Nel ritrovato benessere finale, nella gioia lieta e inebriante che precede la morte, quest’estasi disvela la sua matrice sessuale, tant’è che l’ultimo respiro del bambino somiglia così tanto a un orgasmo. O, ancora di più, Thomasin posseduta nei boschi che, nella passività dell’estasi, osserva e poi si unisce alle altre streghe volanti. Il librarsi energetico della strega rilancia tutta la prorompente sessualità, tutta l’emancipazione di queste donne libere dal peccato proprio perché ormai al di là del bene e del male. Pensiamo alla tradizione dei Sabba come orge, alla ricerca dell’altra faccia di Dio nei coiti multipli: ecco allora che The Witch scatena i mostri indicibili della nostra immaginazione. Il vaso di Pandora è stato finalmente aperto: i corvi succhiano il sangue dal seno delle donne, caproni parlanti incornano padri di famiglia, le madri tentano di uccidere le proprie figlie: The Witch è allora una sorprendente rappresentazione del Male, un inferno sulla Terra che seduce e disturba per la sua carica eversiva. E, non a caso, in quest’incubo a occhi aperti, la Strega si mostra giovane e bellissima, eccitante più che mai, pronta a diffondere il seme del male con un bacio, un solo bacio, sulle labbra di un bambino innocente (e quanti baci allora vengono in mente nel nostro continuo cullarci nel mondo del c’era una volta).
Reduci dal Faust goethiano, consapevoli che la festa della carne renda giovani, si ripete il contratto più famoso della letteratura. Vendere la propria anima al diavolo qui significa liberare il soggetto femminile dalle prigioni della propria dimora, preparandolo a vedere il mondo, a conoscere l’altro, a viaggiare, vivendo fino in fondo il peccato. The Witch riconfigura in fondo un immaginario austero, invalicabile, sulla paura di tutto ciò che c’è di naturale e di notturno, sui desideri candidi di una pubertà che si vorrebbe innocente, ma è già gravida di carne e malizia. Se il film di Eggers è davvero disturbante è perché – ancora una volta – ritorna ai nostri desideri sotterranei. E non c’è vero cinema dell’orrore che non affondi la carne alla ricerca disperata di un’anima.