Forse non è il luogo più adatto per una simile dissertazione, ma questo Carlo! di Gianfranco Giagni e Fabio Ferzetti offre lo spunto per comprendere in maniera più sociale che cinematografica cosa significhi per un pubblico generalista il documentario in Italia oggi. Questa sezione dell’audiovisivo continua a non godere dell’attenzione delle ampie platee nonostante nell’ultimo decennio sia – senza ombra di dubbio – il genere che ha mostrato i valori più interessanti nel settore nel quale si ascrive. Il lavoro di cui da tempo I Sotterranei si sono fatti carico è riconducibile proprio a questa equazione, di cui Carlo! è uno fra i termini: esiste un mondo sommerso dei documentari che rappresenta le migliori espressioni artistiche e audiovisive contemporanee nazionali, mentre il pubblico continua a non frequentare il genere giacché lo riconduce a quei pochi prodotti documentaristici che raggiungono il mainstream nonostante non siano all’altezza delle loro intenzioni e possibilità. Questo è quanto, e I Sotterranei in queste pagine si sforzano di dare voce a quello fra i due termini dell’equazione più meritorio che per difetti congeniti è spesso obliato.
Carlo! è la prova di regia di Giagni e Ferzetti che ha l’intenzione e l’ardire di raccontare uno fra gli autori di costume più importanti della nostra contemporaneità, Carlo Verdone, un regista e attore della generazione degli ’80 (assieme a Troisi, Moretti, Nuti e altri ancora) del massimo prestigio. Nel farlo sicuramente intercetteranno le vaste platee affiliate al regista di Borotalco e nel confrontarsi con essi daranno loro la riprova che il genere documentaristico in Italia sia cosa mediocre, incompleta, non rigorosa, spesso apologetica e manchevole; e da queste considerazioni si darà nuova linfa a quella spirale che da decenni significa il poco seguito dato al genere documentaristico. Perché Carlo! è esattamente questo, la malsana e datata idea che un documentario – se con un target ragionato – possa farsi in maniera scadente sicuri del suo relativo successo: al presentarsi di spese minime il lavoro avrà un supporto mediatico – fra passaggi televisivi, promozione degli stessi protagonisti e autori e una fidelizzazione altissima per i contenuti in virtù di un comico di grande richiamo – per cui l’esito può anche essere cinematograficamente manchevole, tanto simili limiti non avranno grande importanza e gli introiti copriranno ampiamente le spese.
Carlo!, lo si diceva, muove i suoi passi con l’intenzione di ripercorrere la carriera di Carlo Verdone da quei lontani anni ’70 in cui l’attore calcava il palco del cabaret televisivo di Non Stop fino ai giorni nostri, quelli rinvigorenti di Posti in piedi in paradiso dopo le flessioni dei suoi precedenti film (Grande, grosso e Verdone, Gallo cedrone). E nel farlo lascia che ospiti illustri e lo stesso Verdone ragionino per flussi di coscienza, buoni per spaziare dall’aneddotica alla famiglia, dalla Roma coatta che non c’è più ai debiti felliniani dell’autore romano, da Sergio Leone ai ricordi d’infanzia. È pur vero, per spezzare una lancia a favore degli autori del documentario, che molti personaggi che avrebbero raccontato meglio il regista di Ma che colpa abbiamo noi sono passati a miglior vita (la Sora Lella, Sergio Leone, Mario Brega, il padre di Carlo) e il ricorso a materiale d’archivio non sempre può fare al caso del documentario. Quello che però non sfugge e anzi mortifica è il ricorso ad interviste opinabili, che se da una parte non possiedono fisiologicamente una forza valida ai fini documentaristici (Toni Servillo, Pierfrancesco Favino) dall’altra non sono state condotte con sufficiente autorevolezza da parte dei registi (Eleonora Giorgi, Laura Morante o Margherita Buy). Se a questo si aggiungono alcune lacune filmografiche e analitiche inaggirabili (Al lupo al lupo, ma anche il rapporto con Leone, coi suoi colleghi, o anche la sua formazione artistica) si capisce subito che l’esito è manchevole, malamente imperfetto. È vero che Carlo Verdone è un grande narratore che mai si sottrae a incontri con pubblico e maestranze al fine di ripercorrere la sua storia e che ciò significhi ore e ore di filmati che già compiono lo sforzo di raccontare il regista al pari dei fini di Giagni e Ferzetti, ma è anche vero che confrontarsi con un autore del calibro di Verdone non curandosi di alcune sue tappe cruciali rappresenti dei limiti oggettivi che confinano l’opera fra quelle imperfette.
Carlo! rimane un documentario godibile e divertente grazie allo charme di Verdone, verso il quale un pubblico neofita potrà interfacciarsi acquisendo informazioni nuove. Per gli affezionati e conoscitori del comico l’opera non aggiungerà nulla a quanto già si sapeva, lasciando che i 75 minuti di cui il documentario si compone scorrano con brio. All’opera invece va riconosciuta un’insufficienza analitica che denota una leggerezza nella costruzione del documentario non soprassedibile, troppo persa nel “personaggio” di Carlo Verdone e poco attenta ad indagare la materia su cui s’era proposta di far luce.