Roma 2012 / Cosimo e Nicole

Cosimo (Riccardo Scamarcio) e Nicole (Clara Ponsot) sono due giovani ragazzi che si incontrano casualmente al G8 di Genova del 2001. Appena superati quei cupi giorni i due riprendono la loro vita, che la sorte sembra ancorare al capoluogo ligure. Cosimo è italiano e Nicole francese: questa interculturalità è fra gli ingredienti essenziali del loro innamoramento: mondi li separano e l’incontro fra questi è l’amalgama e la linfa che produce sentimento. I due inizieranno a lavorare per un amico che organizza concerti. La vita genovese procede lieve e briosa, per un amore che sembra possa far fronte a tutto. Ma un giorno mentre sono intenti a montare un palco per l’ennesimo concerto un operaio africano assoldato per l’occasione e senza permesso di soggiorno cade dall’impalcatura. È questione di un attimo: correre in ospedale e presentare ai medici un cadavere con le implicazioni legali e criminose che ciò significherebbe o occultare la salma, sperando che il disinteresse statale faccia il resto. Si sceglie quest’ultima soluzione, ma la coscienza di Nicole inizia ad essere tormentata. Ma tutto precipita dopo qualche giorno, quando si viene a sapere che l’extracomunitario non è morto e che ora potrebbe fare i loro nomi e mandarli in galera. La corsa a riparare quell’insano operato segnerà i momenti più belli e assieme più atroci di Cosimo e Nicole.

Presentato nella Sezione Prospettive Italia, Cosimo e Nicole è l’ultima opera di Francesco Amato, noto ai più per il suo Ma che ci faccio qui!. Il lungometraggio di Amato presenta una struttura, una scrittura e una sapienza nella messa in scena apprezzabili e sicuramente godibili, dove lo sciogliersi della vicenda è connotato da una vivacità, ritmo e organicità gradevole. Tuttavia il film non convince per due motivi su tutti. In primo luogo va notato poco piacevolmente la scelta del cast, che trova in Clara Ponsot un’attrice troppo algida e con molti inciampi recitativi. A ciò si deve aggiungere quello che è senza dubbio il più marcato fra i difetti dell’opera, ovvero il suo senso più intimo. Il regista Amato non immette mordente nella pur godibile narrazione, lasciandola scivolare senza che in essa si instilli carattere e pregnanza. Così procedendo il film viene ammantato da una patina di futilità che forse avrebbe potuto non meritare. A visione ultimata i perché ontologici che attanagliano lo spettatore sono lampanti e cruciali per il destino di Cosimo e Nicole: senza aver dato un’anima alla pellicola essa è destinata a piombare nell’oblio del dimenticatoio, senza che valide ragioni la trattengano fra il buon cinema italiano. Non c’è cifra interculturale all’altezza, non vi è dialettica sul mondo del lavoro in nero sviluppata con acutezza, non rimane neppure una storia d’amore raccontata come meriterebbe e senza che la svogliatezza la comprometta. Delle piste narrative nessuna viene sviluppata in maniera sufficiente. Si poteva fare di meglio, visto soprattutto le carte intavolate. È forse questo l’unico e più grande limite dell’opera.

Autore: Emanuele Protano
Pubblicato il 22/01/2015

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