Per quanto il confine tassonomico tra film live action e d’animazione si stia finalmente assottigliando, certe pratiche e abitudini rimangono intatte. Di queste quella dell’appuntamento annuale appare la più intoccabile, specie per i tre giganti che si confrontano oggi il campo: Pixar, Disney e DreamWorks Animation. Del resto anche se la compagnia di Lassater ha giocato d’anticipo presentando Brave pochi mesi fa, i film annuali degli altri due sono attesi entrambi nelle settimane che mancano alla fine dell’anno, con un programma d’uscita che passa, seppur in forme diverse, per questo settima kermesse romana. Il primo giorno di festival ha infatti ospitato l’anteprima di Ralph Spaccatutto, a cui si è poi aggiunto uno spettacolo per le scuole di Alice nella Città. Con ben altro peso invece è stato accolto ieri sera Le 5 leggende (Rise of the Guardians in originale), a cui è stato assegnato in sala Sinopoli il Premio “Vanity Fair per l’eccellenza nel cinema”.
Basato su una serie di libri di William Joyce, il film diretto dall’esordiente – per modo di dire data l’esperienza nel campo – Peter Ramsey sfrutta il suo spunto di partenza letterario per inserirsi con piena (e furba) consapevolezza nel filone del genere supereroistico, del quale mutua codici espressivi e soluzioni narrative per farsene esponente nel settore. Nord (un Babbo Natale old russia doppiato da Alec Baldwin), Calmoniglio (un combattivo Coniglietto Pasquale australiano con la voce di Hugh Jackman), Dentolina (la Fata dei denti di Isla Fisher) e Sandman (un muto Signore dei sogni, purtroppo ben lontano dallo stile Gaiman) infatti altro non sono che una riproposizione del gruppo supereroistico in stile Vendicatori, con tanto di presenza nel cielo (l’uomo sulla luna) a guidarli dall’alto. Come ogni gruppo di eroi che si rispetti, anche questi Guardiani hanno il loro acerrimo nemico, Pitch, l’Uomo Nero che nei secoli bui dominò le menti terrorizzate dei bambini ma che da tempo è stato dimenticato. Per il Guardiani infatti il ricordo e la credenza sono fondamentali; se non dovesse più esserci qualcuno a credere in loro le loro essenze semplicemente svanirebbero. Pitch, ghettizzato nel limbo delle creature meno ricordate, è finalmente pronto a tornare ma l’arrivo di un quinto Guardiano, Jack Frost, intralcerà il suo piano. Privo di ricordi e costretto anche lui alla semi-esistenza di chi è poco creduto, Jack si unirà al gruppo in un percorso di formazione che di fatto costituisce il film.
La visione di Le 5 leggende solleva un immediato quesito: quant’è lecito perseguire la strada del classicismo senza sprofondare nella banalità? Quand’è che la tradizione da robusta base e struttura d’appoggio di un racconto diviene invece fardello gravido di noia e di già visto? Se è impossibile rispondere indicando un confine esatto, è al contempo possibile dire con certezza che questo Le 5 leggende tale linea d’ombra la sorpassa con decisione. La parabola compiuta da Jack Frost all’interno del film, da reietto insicuro e sofferente per l’assenza di direzione della propria vita a Guardiano a tutti gli effetti, è infatti ricalcata con pedissequa indole mimetica sul più classico “viaggio dell’eroe”, le cui tappe vengono attraversate da Jack con una prevedibilità e programmaticità tali da rendere il film già visto praticamente da chiunque abbia raggiunto l’adolescenza. E a chi dicesse che tanti sono i grandi film dalla trama perfettamente prevedibile (l’ottimo Bullet in the Head visto quest’oggi è tra questi), rispondiamo che se non è il cosa a stimolare l’attenzione dello spettatore, che per lo meno sia il come. Le 5 leggende invece pecca anche su questo versante, presentando quattro Guardiani superficiali e privi di personalità, che puntano tutto il loro scarso carisma sull’alone mitico della loro figura. A salvarsi tra i personaggi abbiamo solo lo stesso Jack e Pitch, non a caso accumunati da quello che è lo spunto più interessante dell’universo mitico presente nel film, ovvero il rapporto tra percezione ed esistenza, apparenza ed essenza. Questo, assieme alla ricerca di un “centro” e di un senso della vita che sprona Jack, sono ottimi spunti che il film non riesce a sfruttare a pieno, intenzionato com’è a mantenere un target assolutamente infantile (e niente più) e intrappolato in una formula prevedibile fin nel suo minutaggio.
A salvare il cartone prodotto tra gli altri da Guillermo Del Toro c’è solo una componente tecnica decisamente all’altezza, curata con attenzione registica (specie nella gestione epica dei campi lunghi e lunghissimi) e rilanciata da una stereoscopia avvolgente e armoniosa di gran livello. Per il resto qualche piacevole emozione, un interessante adattamento della figura dell’eroe, ma anche tanta tanta noia. Se proprio c’era da premiare un cartone animato doveva essere lo splendido Ralph Spaccatutto, quello si capace di coadiuvare classicismo e innovazione. Senza tra l’altro inserire metafore religiose spicciole e invadenti come “l’uomo sulla luna”.