La cosa che più sorprende è la velocità con cui cambia l’umore nella stanza; la violenza, che per quanto teatrale si fa schiacciante, che irrompe in un attimo nel comportamento di Massimo, detto “era pantera”. Dalla solita risposta sbruffona e cordiale rivolta alla videocamera si passa in un attimo alla minaccia fisica, al rituale della spinta e dello schiaffo, della voce gridata e dello sguardo minaccioso. Er pantera stacca il decoder e butta per terra il televisore, mentre la compagna lo guarda rinchiusa in un angolo, impaurita e sulla difensiva a causa di quella violenza così improvvisa, scatenata dal suo commento di una banalità così estrema. E in tutto questo la camera si appoggia sul tavolo, il regista chiede a Massimo di smetterla, cerca di calmarlo mentre l’occhio elettronico ci permette di osservare quella zona liminare, il trasbordare della violenza nell’immagine che porta all’intromissione nel quadro di uno sguardo non più oggettivo. Un osservatore non può permettersi di rimanere esterno per sempre, non in una trincea come questa. Pezzi, documentario di Luca Ferrari presentato in Prospettive Italia, non può che chiudersi qui.
Autore dei più svariati reportage fotografici in tutto il mondo, Luca Ferrari – grazie tra gli altri all’intervento della Relief, casa di produzione fondata da Valerio Mastandrea – porta nel concorso riservato al cinema italiano un suo lavoro di soli settanta minuti, poco più di un’ora in cui però sono condensate e presentate vite al limite, personaggi che in una dialettica che fonde umanità e grottesco si raccontano a chi, forse per la prima volta, si interessa a loro. Pezzi nasce da un reportage fotografico che Ferrari stava conducendo nel quartiere di Laurentino 38, zona di Roma sud afflitta da degrado e criminalità endemiche; grazie ad un incontro fortuito ed alla spontaneità del suo approccio Ferrari riesce ad entrare in quel mondo, accolto come un osservatore esterno ma legittimato. Entra così in contatto con Massimo, Bianca, Stefano, Giuliana, persone che come reduci gli raccontano i traumi e le sconfitte di una vita passata al fronte come una battaglia. Tossicodipendenza, carcere, figli ammazzati o suicidi, psicofarmaci, risse, accoltellamenti e furti, violenze domestiche e cocaina, tanta cocaina; quelle raccolte da Ferrari sembrano cronache di una guerra eterna, bollettini dal fronte. Di fronte a questa massa, a queste che Ferrari stesso chiama sindromi da stress post-traumatico, l’immagine statica si era evidentemente fatta insufficiente; servivano il movimento e la parola, serviva sfruttare il libero accesso concesso dalla protezione del pantera e raccontare il più possibile.
Grazie all’uso di apparecchiature leggere Ferrari ha modo di riprendere tutto da solo, entrando in quei luoghi e situazioni che se accompagnato da terzi gli sarebbero rimaste inaccessibili. Pone una videocamera – e quindi un osservatore, e quindi un pubblico – di fronte a persone abituate a sentirsi ignorate, lasciate indietro, ed esplodono così le confessioni e i sfoghi, le illustrazioni e gli improvvisi sbalzi d’umore, tutto sempre a braccetto con la teatralità suscitata dalla fascinazione per la camera. Costruito su un’orizzontalità rizomatica che nega (giustamente) ogni progressione narrativa, Pezzi è una raccolta di testimonianze straordinarie, un esempio toccante e coinvolgente di cinema che alla fine pone anche questioni etiche e morali non indifferenti sul ruolo dell’osservatore. Allo stesso tempo Ferrari, pur lasciando carta bianca ai suoi soggetti, riesce a rendere visibili e palesi le contraddizioni e follie prodotte da un sistema carcerario che non ha nulla di rieducativo.