Nel giugno del 1939 il presidente Franklin Delano Roosevelt (Bill Murray) si prepara ad ospitare il Re e la Regina d’Inghilterra per un weekend nella residenza estiva dei Roosevelt all’interno dell’Hyde Park sull’Hudson, nella parte settentrionale dello stato di New York. L’evento segna la prima visita assoluta di un regnante britannico negli Stati Uniti, finalizzata all’alleanza anglo-americana in vista dell’imminente ed inevitabile confronto bellico con la Germania nazista.
Sorta di spin-off de Il discorso del re (e non un suo seguito come recita la tagline che accompagna il film), A Royal Weekend procede in maniera simile al sopracitato film con Colin Firth e Geoffrey Rush nel miscelare racconto biografico e romanzo (e romance), alternando le schermaglie tra due uomini politici alle prese con delicati interessi internazionali con la messa in scena delle loro debolezze, della loro dimensione fragile, fallibile e caduca di esseri umani. Raccontato attraverso lo sguardo di Daisy – cugina di terzo grado, vicina di casa, amica ed infine amante di Roosevelt –, il weekend da cui prende il titolo il film è il piccolo spazio temporale necessario affinché avvenga un importante cambiamento, sia politico che umano. Con l’intento di esplorare gli aspetti “umani troppo umani” di due dei leader più carismatici di metà secolo (anche se qui a fare la parte del leone è solo Roosevelt, mentre il Re Giorgio è solo un buffo e goffo comprimario, lontano dalla raffinata interpretazione di Colin Firth) A Royal Weekend è di certo un film garbato, gradevole e ben confezionato ma che mostra la corda quando lo stile e l’eleganza non riescono a sopperire ad una scrittura tiepida ed superficiale che, al contrario, dovrebbe sostenere l’intera opera intessendo un rapporto ben più profondo con l’intero cast. Dopo alcuni minuti di visione, infatti, l’english touch artefatto e ricreato ad hoc dal registra sudafricano Roger Michell sembra pian piano slegarsi dal contesto, man mano che la narrazione procede in direzione di un pre-finale melodrammatico non supportato da un adeguato crescendo e che quindi – privato di climax – sembra giustapposto piuttosto che finalizzato alla narrazione. Questo stona ulteriormente con un film per lo più pensato e strutturato sui modi del cinema classico americano e che quindi procede, per sua natura, senza alcun sobbalzo dall’inizio fino all’affrettato finale seguendo pedissequamente le traiettorie motorie ed emotive dei personaggi principali. Non aspettatevi inoltre nulla di sorprendente da Bill Murray, che sebbene rimanga sempre un attore dotato di grande carisma, è stato servito da un copione piuttosto modesto.
Lontano dal decoupage raffinato de Il Discorso del Re, dalla profondità letteraria della serie Downton Abbey o dal capolavoro di stile che è Gosford Park di Robert Altman, A Royal Weekend è un film con ottime potenzialità irrisolte a cui probabilmente manca a monte la scelta di una direzione ben precisa, che si traduce nella sensazione che nessuno creda poi così tanto nella bontà del progetto.
Peccato.