Assassination Nation
Il regista Sam Levinson si confronta con il teen drama in un film cinico ed eccessivo che dialoga con il presente e getta le basi teoriche per quello che sarà la serie HBO "Euphoria".
«Questo è il vostro mondo, lo avete costruito voi. Non prendetevela con me. Io sono arrivata adesso». Si sfoga così, sguardo in macchina e fare agguerrito, Lily (Odessa Young), protagonista e capro espiatorio ideale di Assassination Nation di Sam Levinson (figlio di Barry), quasi un calco delle stesse parole che userà, qualche tempo dopo, la sua coetanea Rue nel pilota di Euphoria, serie evento firmata dallo stesso autore.
Sono mondi comunicanti, del resto, i teen drama di Levinson, così platealmente codificati da farsi immediatamente racconti universali, terreno fertile e congeniale – quando usato sapientemente – per parlare del presente e delle sue derive, non solo generazionali. Una narrazione inevitabilmente (e necessariamente) urlata, eccessiva, sopra le righe, sin da un incipit che grida i suoi temi a tutto schermo (ABUSO, OMOFOBIA, TRANSFOBIA, SESSISMO, MASCOLINITÀ TOSSICA, VIOLENZA, BULLISMO, RAZZISMO), sbattendoli direttamente in faccia allo spettatore, in un concentrato ipertrofico capace di farsi quintessenza di un intero genere.
Del racconto adolescenziale, d'altronde, Assassination Nation pare avere proprio tutto, a partire dalle sue premesse, con quella prima parte che insegue modelli risaputi (in una sorta di ibrido che mescola Mean Girls a Spring Breakers), aggiornandoli però al gusto contemporaneo e a uno sguardo decisamente più crudo, scorretto e insolito della media. Proprio come in Euphoria, il mondo di Lily e compagne pare infatti attraversato da linee invisibili, traiettorie che ne descrivono i rapporti, i desideri, le dinamiche sociali e virtuali, con tutti i paradossi, le degenerazioni e le anomalie del caso. Ma cosa succede se su questo mondo ipercodificato, fatto di party, foto erotiche, pettegolezzi social, tradimenti e insicurezze, viene sganciata una bomba? Cosa succede se, per esempio, un misterioso hacker comincia a rendere pubblici i segreti contenuti negli smartphone e nei pc di mezza città?
È qui che le dinamiche del teen drama irrompono prepotentemente nel mondo (e nei generi) degli adulti, e la commedia lascia presto il posto a un horror distopico pericolosamente vicino a The Purge, dando vita a una caccia alle streghe (non è un caso che la città dove Levinson decide di ambientare la vicenda sia proprio Salem) sgradevole e respingente nella sua cocente attualità.
Un cambio di tono e prospettiva repentino e inaspettato, che il regista gestisce però con mano ferma e consapevole, senza mai prendersi veramente sul serio o cadere in un eccessivo didascalismo, mettendo in scena un mondo malato e marcio sin dalle fondamenta, pronto a scagliarsi sul primo capro espiatorio a portata di mano pur di lavarsi la coscienza.
Il risultato è un film che accatasta, uno sull'altro, temi fondamentali ed estremamente attuali con un gusto per l'eccesso in grado di infarcire di rimandi e significati impensati la sua parabola di vendetta (i riferimenti si sprecano: dai pinku eiga giapponesi fino a Revenge, passando per Carrie), il suo viaggio di formazione alla ricerca di un'immagine e di un ruolo libero da qualsiasi imposizione o condizionamento.
Tra esplosioni di violenza e sfacciati vezzi stilistici (gli stessi che troveremo nella serie targata HBO), fatti di split screen, luci al neon e piani sequenza impazziti, Assassination Nation, dietro il suo gusto patinato per l'assurdo e per l'exploitation, si rivela così un perfetto specchio dei nostri tempi, un Black Mirror appena più cinico e brutale, grido rabbioso e liberatorio di un'intera generazione vittima di una barbarie e di un grottesco che non le appartengono ma con cui è tragicamente chiamata a confrontarsi.