Torino 2020 / Mom i Befriended Ghost + Red Aninsri

di Sasha Voronov

Prove di "armageddonwave": al TFF i primi passi di un nuovo cinema per raccontare la fine dell'umanità

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E' difficile che Mom i Befriended Ghosts, pur con il suo spudorato aggancio al presente, sia stato scritto, prodotto e girato in questi ultimi otto mesi; il fatto che si tratti di una storia di pandemia, quarantena e apocalisse dimostra solo come il sentore di un nulla in attesa, appena al di là di noi, fosse presente a maturare nell'inconscio occidentale già da diverso tempo. La Fine del Mondo è in trending topic, e ci resterà: è lei lo spettro che da un decennio si aggira per il mondo e per il cinema, e che definirà in maniera inalterabile le opere che nei prossimi anni proveranno a confrontarsi con il presente. E' armageddonwave: tutti vogliamo e dobbiamo discutere di un possibile futuro senza umanità, e se una volta solo Mad Max o Wall-e potevano permetterselo, è ora il tema prescelto anche per registi esordienti, con quaranta rubli di budget e un unico protagonista: il Pianeta stesso.

Mom i Befriended Ghosts risponde a tutte queste caratteristiche e, si sarà capito, è un film che parla di Apocalisse. Lo scarto con la trattazione classica sta nella rinuncia ai toni utopici/distopici, alla fantasticheria di nuove società barbariche in futuri post-atomici. Il post-atomico stesso pare un concetto superato; la minaccia oggi non è una grande esplosione ma un'angoscia invisibile, fantasmatica: pestilenze senza nome, stravolgimenti climatici e sociali inarrestabili. Il film dell'esordiente Sasha Voronov taglia fuori il collettivo ed elabora i mutati rapporti del singolo nei confronti di questo mondo “dopo”, svuotato, in cui nessun violento nuovo ordine sta nascendo, ma in una silenziosa e agonizzante ultima Era l'anthropos va ormai perdendo la sua centralità.
I settanta interessanti minuti di Mom i Befriended Ghosts offrono dunque un antipasto di ciò che sarà il nuovo cinema apocalittico dei prossimi anni: visione proibita, ammaliante nel suo orrore, del “world without us”. Panorami inconcepibili, inorganici, dove la Natura stessa, ex madre benevola e fruttifera di un tempo che il film non accarezza più neanche in forma di flashback, è ora una divinità ostile e indifferente, in un presente congelato nell'inferno del ghiaccio eterno. Un inferno in cui si aggira in rassegnato silenzio la protagonista (Alla Mitrofanova): la sua cittadina siberiana è stata quarantenata in seguito al diffondersi di una misteriosa malattia, ed è ora ridotta a un morente feudo in mezzo al nulla sorvegliato da milizie. Fuggita alla ricerca di non si sa bene cosa, il film ne accompagna il vagabondare per i campi in una serie di raggelate sequenze, in un desolato assaggio del nuovo mondo.

Lo svuotamento dell'inquadratura, bianca, grigia, senza neanche il respiro offerto dal campo lungo o dalla panoramica, impone allo spettatore la realtà di una rassegnazione universale, di una fine accettata e metabolizzata. Il messianesimo biblico di un Cuaron e di tante trattazioni simili sembra retaggio di un altro modo di approcciarsi al soggetto. Al termine della civiltà, l'uomo è tornato allo stadio di cavernicolo della steppa, alle ere glaciali; la sua precaria sopravvivenza passa per un percorso a ritroso nella distruzione dei più ancestrali tabù, di fronte alla silenziosa testimonianza dei fantasmi del titolo. Fantasmi non da intendersi come revenant, ritornanti capaci di riverberare sul presente la propria esistenza passata - ma come eco calanti, ormai impercettibili. Il presente storico, il nostro, ha nel film lo stesso valore delle antiche civiltà dimenticate nei miti lovecraftiani. Attore principale, appena “truccato”, è quindi un luogo, la Siberia, confine dell'umano per definizione: e gli spettri del titolo sono anche i suoi relitti urbani sovietici, ridotti a un pugno di  isolate infrastrutture sommerse nel gelo e nella neve, come già la Statua della Libertà sprofondava nella sabbia del Pianeta delle Scimmie di Schaffner. Una spettralità che si esplicita in sequenze a dir poco haunting, e che rimandano il film alla sua matrice tarkovskiana; un aggancio a dei padri nobili che, fossero vivi oggi, non si esimerebbero dall'affrontare questo tipo di narrativa.

Mom i Befriended Ghosts resta più che altro un biglietto da visita, un film in orizzontale, fatto di scene e non di plot: potrebbe durare venti minuti come sette ore o per sempre, accompagnando la protagonista nella sua camminata nel non-mondo potenzialmente all'infinito. Si accontenta di passare appena l'ora di minutaggio, un lavoro in piccolo che rinuncia sportivamente a una magniloquenza che non avrebbe comunque potuto rendere, limitando il suo percorso a quattro-cinque passaggi obbligati. Più che mai vorremmo vederne di più, ma è indubbio che il cinema dell'immediato futuro non ce ne negherà.

Red-Aninsri

Se il gelo dell'anima, i temi dilatati e le visioni notturne sono alla base del russissimo film di Voronov, la scelta di accoppiarvi il caldo, tenero e politico corto thailandese Red Aninsri è un punto in favore della fantasia dei programmatori del TFF. Il film di Ratchapoom Boonbunchachoke è un contorto teorema metaforico sulla falsissima riga dello pseudo-noir complottista alla Rivette (intrighi collettivi riflessi sul triviale privato), carico di “messaggi” su identità sessuale, politica, libertà espressiva, nazionalismo, impegno civile. Una (generica,  ma tant'è...) tesi contro la dittatura in ogni sua forma incastrata su una scarica di idee visive e sonore per metà delle quali molti registi mainstream darebbero un braccio. Trenta minuti, dodici scene; la sezione aurea del cinema sperimentale.

Autore: Saverio Felici
Pubblicato il 08/12/2020
Russia 2020
Regia: Sasha Voronov
Interpreti: Alla Mitrofanova
Durata: 73 minuti

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