El principe (The Prince)
L’opera prima del cileno Sebastián Muñoz è un folgorante canto d’amore e morte, tra piacere e dolore.
Sullo sfondo della società cilena degli anni settanta, El Principe (The Prince) concepisce il microcosmo carcerario come un mondo a se stante, con le sue leggi del desiderio, i suoi codici morali e le sue pulsioni di morte.
Sebastián Muñoz, all’opera prima, adatta l’omonimo romanzo di Mario Cruz dando vita all’universo affettivo del giovane Jaime, finito in carcere per aver ucciso il ragazzo di cui era innamorato. Il suo passato è messo in scena come una rêverie selvaggia dove riscoprire i primi turbamenti sessuali. D’altronde El Principe è la storia dell’occhio di Jaime, il suo fisico, tangibile racconto di formazione. Dal pudore delicato dello sguardo innocente alla conquista del corpo come strumento di potere e piacere. Perché se da libero Jaime è anzitutto il voyeur che desidera la carne proibita in onanistica, muta contemplazione, la prigione è l’Eden libidinoso del piacere omoerotico, luogo maledetto dove dare sfogo alle proprie fantasie più recondite, regno fallocentrico in cui tutto è concesso, al di là del bene e del male.
El Principe fonde la forza sacra, estatica dell’orgasmo agli abissi putridi, claustrofobici della prigionia, tra escrementi e lerciume liquido, tra piacere e dolore. La carne in fermento è alla ricerca di nuove voragini da penetrare col fallo o con la lama. Il giovane Jaime diventa il Principe, protetto dal rispettato stallone El Potro (uno straordinario Alfredo Castro) che lo inizierà al suo amore. Nel rapporto tra i due, Muñoz scopre la tenerezza inaudita, la lealtà e la gentilezza, l’umanità di due amanti che sono anche un padre e un figlio, un maestro e un allievo.
Purissimo cinema del desiderio che concepisce l’erotismo nella fusione batailliana di amore e dolore, di principio di piacere e pulsione di morte, nella solitudine della notte, nella carezza che segue la violenza, nel sesso che si fa potere: El Principe è una ronde libera e vitale capace di bramare corpi fassbinderiani alla ricerca del loro canto d’amore (ed è subito Genet!). Quando il film si fa finalmente musical ritorna l’incanto di un cinema che guarda allo spazio come al luogo di distanza fra corpi che agognano un’unità impossibile: d'altronde tutto il film è estremamente musicale, quasi come se la tensione erotica fosse una coreografia emotiva, una questione di posizioni. La legge dominante – non poteva essere altrimenti - è quella del desiderio: in questa bramosia di sguardi, El Principe è un film dove ogni primo piano crea e modella l’educazione sentimental-sessuale di Jaime. E tra queste ossessioni genitali che scatenano vendette e gelosie, scoppiano gli scontri fisici degli altri amanti carcerati, vere e proprie contese di dominazione sessuale.
El Principe segna dunque l’esordio di un nuovo autore libero e irriverente. La sua irruenza dall’afflato così vitalistico, così passionale, rompe le barriere del film carcerario o del racconto di formazione per dare vita al dolore della perdita, all’ebrezza del coito che rilancia subito lo spettro della morte. Spettro che alberga ogni inquadratura del film, sciogliendo i colori, ribaltando i ruoli gerarchici verso un nuovo principe, verso un nuovo ordine delle cose.