Sei pezzi facili

Al quinto Festival Internazionale del Film di Roma Claudio Cupellini ha presentato, e con discreto successo, il suo nuovo lavoro Una vita tranquilla, subito seguito dalla sua uscita nelle sale italiane il 5 novembre. Con un calendario così articolato, e che può vantare al suo interno una presentazione al Festival capitolino, la sezione de I sotterranei ha ritenuto interessante risalire lungo il percorso artistico di Cupellini, andando a rovistare fra le sue primissime opere. Ma in questa sede non si tratterà del suo penultimo lavoro, Lezioni di cioccolato; tantomeno del progetto ad otto mani che fu 4-4-2 – Il gioco più bello del mondo, che vide la firma alla regia dello stesso Cupellini per l’episodio La donna del Mister. Si farà piuttosto un passo indietro ancora più lungo andando a rivisitare, rivedere e rileggere la primissima opera del regista di Una vita tranquilla, il suo saggio di fine corso del 2003 per il Centro Sperimentale di Cinematografia di Roma, scuola dove Cupellini studiò nel triennio 2000-2003. Claudio Cupellini in quell’anno firmò un cortometraggio dal titolo Chi ci ferma più. Per i suoi stessi motivi fecero altrettanto Claudio Cicala con Il sostituto, Daniele Basilio con Le mani in faccia, Paolo Tripodi con In casa d’altri, Marco Chiarini con Esercizi di magia e Michele Carrillo con Sole. I sei saggi furono reputati così interessanti, “sperimentali” si disse all’epoca, che si decise di unirli in un unico film a episodi, che prese il nome di Sei pezzi facili.

Sei pezzi facili è il titolo mutuato dall’omonimo testo di Richard Feynman. Nonostante il film a episodi non abbia affinità contenutistiche con il saggio del fisico statunitense, ne ricalca l’intento di fondo, ovvero quello di voler procedere per gradi, dall’esterno all’interno, dal facile al difficile, per arrivare ad una densità contenutistica e umana sempre più profonda. Infatti Sei pezzi facili si apre con ampi spazi ed ampi personaggi, per una prima e introduttiva lettura dell’animo umano, per proseguire verso lidi sempre più introspettivi e profondi. In partenza ci troviamo in una grande città, poi in una spaziosa università per Il sostituto, dove Claudio Cicala narra le vicende di un giovane e intelligentissimo studente che sbarca il lunario sostenendo esami al posto di altri suoi colleghi, con una narrazione agile, effervescente, e con letture psicologiche solamente accennate ma sottili e originali. Ne Le mani in faccia continua il percorso di avvicinamento, ma gli ambienti rimangono ancora molto ampi. Daniele Basilio con il suo cortometraggioci mostra il difficoltoso momento giovanile di un ragazzo di Monopoli, Francesco (un giovanissimo Riccardo Scamarcio), che decide in gran segreto di andare a conoscere il nonno contrabbandiere per mare all’insaputa del padre. In un mare notturno, e con il motore degli scafi a coprire i dialoghi, assistiamo al tentativo di avvicinamento fra il nipote e l’ignaro nonno, con un esito decisamente non riuscito.

Si procede, nel nostro percorso di avvicinamento, nella prima situazione domestica, dove però le mura abitative non contengono una relazione familiare. Qui una governante ucraina rimane incinta, ma per paura di perdere il lavoro non fa parola di ciò alla padrona di casa. In un clima ovattato, e che fra le tante parole rende in verità impossibile una vera comunicazione, la giovane donna si troverà costretta dagli eventi a confessare la sua gravidanza, lasciando il lavoro ma acquisendo finalmente lo stato di “mamma”. Esercizi di magia ci mostra i primi veri rapporti sentimentali, che si vengono a creare fra un mago ed un bambino e fra una coppia di sconosciuti. I ritmi, molto agili fino a questo momento, si rallentano, privilegiando una lettura ora più approfondita dei personaggi. La narrazione è dilatata e i protagonisti assumono una caratterizzazione tridimensionale efficace, dove non sono più gli eventi a raccontare i personaggi, ma ora questi ultimi possono raccontarsi da soli. E si arriva così all’episodio – al cortometraggio – di Claudio Cupellini, senza dubbio il più riuscito (assieme all’ultimo) di cui Sei pezzi facili si compone. Chi ci ferma più (nella foto) prosegue il percorso di avvicinamento umano che l’opera vuole perseguire, stavolta cogliendo i protagonisti all’interno di un’autovettura, con primi e primissimi piani, come se tutto il mondo si dipanasse in quel piccolo abitacolo. L’episodio narra le vicende di due amici di infanzia che dopo decenni si rincontrano, stavolta però agli opposti delle barricate: uno ladro, Silvano, e l’altro poliziotto, Mario. Il secondo abborda il primo con un escamotage, volendo in realtà smascherare il vecchio amico ed arrestarlo per il suo traffico di macchine rubate per l’est Europa. Ma il rapporto di avvicinamento fra i due fa calare le certezze che entrambi avevano. In macchina, per quello che Silvano giura sarà l’ultimo riciclaggio della sua vita – e mentre l’amico Mario dovrebbe approfittare proprio di questo momento per incastrare il trafficante – i due si ritrovano amici come un tempo, attraverso dialoghi molto rarefatti, pieni di sciocchezze o futilità, ma che ristabiliscono l’ordine fraterno delle cose, facendo tornare i due puri come una volta, interrompendo la tensione che il viaggio in macchina e la probabile cattura di Silvano pareva garantire.

Sole è il cortometraggio che conclude l’opera, e quindi anche quello più vicino all’animo umano, molto profondo ed emozionale. Quattro ragazzini vogliono fare la loro prima esperienza sessuale con una prostituta. Fra i quattro, però, uno di loro non riesce a vivere la cosa con la spensieratezza degli altri. Il bambino è forse più maturo degli altri tre, forse – addirittura – prova un sentimento per la donna, forse – azzardiamo – non riesce a concepire il rapporto di sfruttamento che si viene a creare fra un cliente e una lucciola. Tant’è che il ragazzo cercherà di sabotare la goliardata degli amici, e quando questi distruggeranno la baracca in cui la donna riceveva i clienti il bambino corre in suo soccorso, regalandole uno secondo stereo dopo che il primo le era stato distrutto dai ragazzini. In una periferia napoletana molto acida e desertica, la bellezza degli animi raccontati abbaglia il degrado urbano mostrato. La semplicità, l’acutezza e la simpatia dei giovani, aiutati da ottimi dialoghi, rendono Sole un cortometraggio di alto spessore.

Sei pezzi facili è dunque un meritevole lungometraggio ad episodi con una sua filologia ed armonia interna che, oltre ad essere ampiamente apprezzabile, dona all’opera una robustezza raramente rintracciabile nei film ad episodi. I cortometraggi si presentano infatti omogenei fra loro e con delle cifre stilistiche molto somiglianti (fra cui spicca l’agilità narrativa e la freschezza dei dialoghi), restituendo un’opera che si lascia apprezzare anche in quanto unica. Infine, oltre che per Cupellini, il film segna i primi fortunati passi anche degli allora giovanissimi e quasi sconosciuti attori Riccardo Scamarcio e Michele Alhaique.

Autore: Emanuele Protano
Pubblicato il 16/08/2014

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