The Forest of Love

di Sion Sono

L'ultimo monumentale, caotico film di Sion Sono disponibile su Netflix.

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Onirico, dissacrante, violento e mélo, Sion Sono torna questa volta con un film per Netflix e lo fa mantenendo la sua poetica e realizzando un piccolo compendio della sua filmografia. The Forest of Love racconta tutto l’universo del prolifico regista giapponese, circa due ore e mezzo di caos, generi che si mescolano, temi ricorrenti, citazioni e auto-parodie. Insomma, il colosso Netflix non ha scalfito l’estro e l’intento di Sono che, anche in questo film, non inciampa in nessuna logica sovraimposta.

Mitsuko è una ragazza problematica che soffre per la morte di un’amica e vive segregata in casa. Quando però Taeko cerca di coinvolgerla a seguire un gruppo di ragazzi per girare un film, strane incursioni esterne iniziano a farsi spazio nel quotidiano virandolo in un eccentrico grand-guignol di sangue, devianze sessuali ed efferati omicidi.

Un film imprevedibile, ricco di cambi di registri e risvolti inaspettati come solo i grandi nipponici sanno intavolare. Non manca nulla dei capolavori che hanno reso celebre Sion Sono: le adolescenti alienate di Suicide Club, il serial killer di Cold Fish e l’imponenza di Love Exposure, e le sue perversioni. Non è facile stare al passo di un film così irruento e vorticoso ma è anche questa la sua forza, il cinema di Sion Sono, misantropo e pessimista, con The Forest of Love dipinge ancora una volta giovani alienati intrappolati nelle mani di un mondo cinico e violento, incarnato questa volta da un truffatore. Metafora di una società senza speranza, di generazioni che si districano nel disagio suscitato da quella parte di adulti che li sfrutta. Ma da questo meccanismo non nasce rabbia, bensì una sorta di sindrome di Stoccolma che afferra tutti i protagonisti: piuttosto che odiare quel truffatore, innescano una serie di meccanismi erotico-romantici con tanto di rimandi shakespeariani. E Sion Sono sa come giocare con l’autoreferenzialità, quello che stanno facendo i suoi personaggi è una messa in scena, è il personale film che stanno realizzando per poter affermare la propria esistenza.

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The Forest of Love, titolo evocativo quanto ironico, è anche il cinema, terra di false speranze e teatro di carne da macello. Perché non mancano le virate al gore e al sadismo più immotivato. Il regista giapponese, come un burattinaio, gioca con i suoi personaggi divertendosi a torturarli nella meschinità e nel dolore delle loro vite, cerca di tirare al massimo la sofferenza e di lasciarli annegare senza essere protetti.

Basato su eventi realmente accaduti a fine anni '90, il film riesce a fare perdere interesse per la risoluzione del caso, questo perché, la potenza visiva di un autore come Sono travalica qualsiasi mente investigativa e lascia al puro piacere visivo. Nella prima parte, divisa in episodi irregolari, il film offre una serie di informazioni per cui lo spettatore inizia con difficoltà a districarsi. Andando avanti questo squilibrio diventa prepotente sino alla totale ipertrofia. Di pari passo si dispiegano le vicende e i traumi delle protagoniste: Mitsuko, vergine e depressa, e Taeko, trasgressiva e dirompente. Il trauma, imprescindibile tassello della filmografia di Sono, così come emerge all’interno dei personaggi, viene rappresentato nella non-linearità narrativa del film. Tutto questo senza piegarsi però alla via dell’indulgenza. Un crescendo di emotività, dolore e visionarietà.

Come sempre nel suo cinema, Sion Sono dipinge un mondo sopra le righe, corrotto e depravato, portando alle estreme conseguenze violenza e sesso, ma con alla base un discorso preciso. Nel caso di The Forest of Love si parla di autore e opera, creazione artistica e linea tra arte e agonia, autore e attore, burattinaio e burattini. Qui la realizzazione di un film impossibile. Ancora una volta, una lettera d’amore (e di sangue) per il cinema.
[Disponibile anche una versione Deep Cut che aggiunge all’operazione quasi il doppio del minutaggio iniziale].

Autore: Andreina Di Sanzo
Pubblicato il 07/07/2020
Giappone 2019
Regia: Sion Sono
Durata: 151 minuti

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