Speciale Oriente #4 / On the Beach At Night Alone
Mille ipotesi di un film che forse esiste solo nella mente della protagonista, custodito da qualche parte tra l’inconscio e il desiderio.
Fare sempre lo stesso film senza mai ripetersi. O meglio: senza mai dare l’impressione di sfociare nella maniera, nella stanca reiterazione di una prassi. Esistono pochi casi al mondo come quello del coreano Hong Sang-soo, regista capace, nella sua ventennale carriera, di erigere un mastodontico corpus filmico a partire quasi sempre dallo stesso canovaccio: un uomo o una donna o un gruppo di amici colti nelle loro vicissitudini amorose, tra lunghe chiacchierate e maratone alcoliche. Canovaccio scompaginato dall’intervento del suo autore, che predispone ogni volta congegni narrativi cangianti che ribaltano le prospettive, ipotizzano strade alternative, percorsi inattesi. Nel cinema di Hong Sang-soo si è dentro un continuo detour senza fine, in cui è spesso impossibile stabilire un ordine dentro il quale far rientrare le esperienze dei personaggi. Quel che conta è l’istantanea di un momento di vita, quasi sempre di passaggio, tra quello che si è vissuto poco prima e quello che forse si/ci attende un attimo dopo i titoli di coda. Senza mai una chiusura definitiva del cerchio. Il cinema di Hong Sang-soo si presenta come una lunga, continua parentesi dall’esistenza. Come tanti piccoli frammenti strappati al fluire del tempo e del pensiero. A ben vedere la parentesi potrebbe essere una perfetta metafora del suo cinema. Parentesi intesa come divagazione, intervallo, gioco, proiezione mentale, sogno.
Proprio come in questo bellissimo On the Beach at Night Alone che a partire da una parentesi – la vacanza di un’attrice in crisi sentimentale lontano dal proprio paese – innesca una struttura a scatole cinesi. Alla cornice della vacanza si innestano altre parentesi una dentro l’altra, che arrivano a sovrapporsi al film stesso. Un film che nasce dalla malinconia di un amore perduto e che inventa tante alternative possibili in grado di allontanare il pensiero dell’amato, elaborarne la “scomparsa”. Ecco allora una trasferta dall’altra parte del mondo (ad Amburgo), sopralluogo/bozza di un film in divenire in cui rispecchiarsi e commuoversi nel buio di una sala. E poi il ritorno in patria, in una località di mare fuori stagione, circondati da amici e conoscenti con i quali parlare d’amore e progettare convivenze alternative. Fino a finire sul set di un film che racconta dei rimpianti amorosi di un vecchio regista. E se fosse proprio lui il regista sposato che la protagonista cerca senza successo di dimenticare? Un altro risveglio apre ancora una parentesi, destinata questa volta a restare aperta in campo lungo.
Per questa ennesima variazione sui temi consueti, Hong Sang-soo sembra ricordarsi della celebre citazione da Le mille e una notte che inaugura il capolavoro pasoliniano: “la verità non sta in un sogno ma in molti sogni”. E così anche qui l’unica verità possibile non va individuata nell’eventuale ordine logico-strutturale dell’opera ma in tutte le parti che la compongono. Senza alcuna distinzione, poiché ciascuna contribuisce a comporre il ritratto di questa giovane donna in crisi, registrandone i differenti stati d’animo – da quello più pacificato della prima parte a quello più insofferente dell’ultima – e accompagnandone il percorso di “guarigione”. Una guarigione solo ipotizzabile, ovviamente. Il cinema di Hong Sang-soo si muove come sempre nell’incertezza e nella precarietà. Proprio come la condizione evocata dal titolo, soli su una spiaggia di notte, il film si concentra sulla soggettività della sua protagonista, sul suo mondo interiore. Come mai prima d’ora nell’opera del regista coreano assistiamo alla radiografia di un sentimento che arriva a contaminare ogni unità del film, dalla singola inquadratura fino alla sua struttura portante. Gli intrecci narrativi, pur sempre presenti, non sono più il risultato di un agente esterno che si diverte a cambiare le carte in tavola, ma sono al contrario il prodotto di un pensiero, diviso tra la ricerca di risposte e un’inconsolabile malinconia. Malinconia che si sprigiona dalle parole di una canzone d’amore quasi sussurrata tra una boccata di fumo e l’altra, o dalle carezze rivolte ad una pianta ai bordi di una strada. Fino a sfiorare l’effimera inconsistenza di un sogno. Anzi, di più sogni. Uno per ogni stadio del proprio lutto. Uno per ogni tentativo di rinascita. Mille ipotesi di un film che forse esiste solo nella mente della protagonista, custodito da qualche parte tra l’inconscio e il desiderio. Fugace, come una preghiera recitata sulla soglia di un ponte. Come il profilo di un uomo disegnato su una spiaggia.