Speciale MUBI / Sciarada
Il più grande film sul cinema mai fatto, per come riesce a farci innamorare di un’immagine nel momento stesso in cui ne rivela l’artificio
[Questo articolo fa parte di uno Speciale dedicato alla piattaforma di streaming on demand MUBI, un focus monografico composta da una galleria di recensioni contaminate da riflessioni teoriche, emotive, autobiografiche, per riflettere trasversalmente sul tema della cinefilia on demand e sul più generale rapporto che intessiamo oggi con le immagini. Il progetto è stato presentato e inquadrato nell'editoriale "Di MUBI e del nome del cinema", che potete trovare qui].
- Wouldn’t it be nice if we were like that?
- What, like Scobie?
- No. Gene Kelly
- Remember when he danced down here by the river in An American in Paris without a care in the world?
Una lenta panoramica da destra verso sinistra mostra un paesaggio di campagna alle prime luci dell’alba. Un treno sfreccia a tutta velocità, diretto chissà dove. Il corpo di un uomo viene gettato in corsa, finendo in mezzo alle erbacce. Non abbiamo neanche il tempo di comprendere la dinamica dell’omicidio che siamo catapultati nei vorticosi titoli di testa del film, intrecci di linee e colori psichedelici, mentre fuori campo riecheggiano le note swing-jazz dell’immortale Henry Mancini. Conosciuto come « il miglior film di Hitchcock non realizzato da lui », Sciarada di Stanley Donen è solo superficialmente un’opera di derivazione hitchcockiana. Come dichiarato in maniera esplicita dalla sequenza di apertura - dove l'omicidio è un fatto secondario e accessorio rispetto al piacere tutto astratto e pop dei titoli di testa - Sciarada è piuttosto un arabesco disegnato sull’acqua (della Senna) che si serve dei codici del giallo e dello spy movie per giocare con il cinema. Il mistero da risolvere non è che un mero pretesto. Quello che sta a cuore a Donen è lo svelamento della finzione che si cela dietro ogni immagine cinematografica. La suspense, i meccanismi di genere sono costantemente disinnescati dal loro controcampo: la pistola giocattolo puntata verso Audrey Hepburn, gli omicidi accumunati da dettagli bizzarri (le vittime in pigiama), Walter Matthau che fa esercizi ginnici al telefono, etc ... Fino quasi a sfiorare la deformazione parodica (il commissario macchietta, il funerale di Charles).
Il mondo filmato da Donen è come il teatro di marionette nei giardini degli Champs-Elysées: una mascherata sorretta da uno script precisissimo, dove la morte non esiste (« he’s only pretending, to teach her a lesson ») e gli attori sono contemporaneamente protagonisti e spettatori dell’azione. Senza che questo infici mai sulla tenuta del film, anzi. Il miracolo di Sciarada sta proprio nel suo porsi dentro e fuori la narrazione, in perfetto equilibrio tra la trasparenza del cinema classico e la consapevolezza del cinema moderno. Proprio agli autori della Nouvelle Vague Donen sembra guardare nell’approccio ludico e teorico: fare un film sulla menzogna, sull’inganno, su un enigma da decifrare, decostruendo la nozione stessa di opera hollywoodiana con tutto il suo corredo di segni, corpi, luoghi, topoi narrativi. Non deve stupire, allora, che l’intreccio si risolva all’interno di un teatro vuoto – con i due interpreti maschili a contendersi il ruolo « positivo » - e la chiusura del film sia di fatto affidata ad una smorfia ridicola che Cary Grant rivolge ad Audrey Hepburn (e per estensione al pubblico del film) per prendersene gioco. La matrice moderna di Sciarada è stata compresa più di tutti da Jonathan Demme che in The Truth about Charlie ha realizzato una specie di cross-over tra il film di Donen e Tirate sul pianista di François Truffaut, esplicitando cio’ che in Sciarada si cela dietro la superficie dell’immagine: il legame tra la Nouvelle Vague ed il cinema anni Sessanta di Stanley Donen, che ha poi trovato il suo massimo compimento narrativo ed estetico con Due per la strada, ancora una volta interpretato da Audrey Hepburn e sempre ambientato in Francia.
Sciarada è un film unico, fatto solo, puramente, di cinema: i corpi iconici di Cary Grant (in una delle sue ultime apparizioni) e Audrey Hepburn, le schermaglie linguistiche (« because I already know an awful lot of people. Until one of them dies I couldn’t possibly meet anyone else »), le coreografie nello spazio che sembrano a tratti provenire dal musical, lo slittamento costante delle identità e dei colpi di scena, le citazioni cinefile (« have you got a bullet I could bite, like they do in the movies ? »). E poi, soprattutto, la Parigi di Les Halles, degli Champs-Élysées, del Palais Royal, del Lungo Senna, sfondo ideale per questa avventura attraverso i generi e gli immaginari in cui convivono il Gene Kelly di Un americano a Parigi, il giallo-rosa di Hitchcock e le riflessioni teoriche dei giovani turchi francesi. In tal senso, potremmo considerare Sciarada come il più grande film sul cinema mai fatto, per come riesce a farci innamorare di un’immagine nel momento stesso in cui ne rivela l’artificio. Come nella sublime scena ambientata sul bateau mouche, dove vediamo un uomo dirigere un enorme faro da set verso coppie di amanti che si baciano appassionatamente nella notte parigina. Preludio al bacio che di li a poco si scambieranno Cary Grant e Audrey Hepburn, accompagnati dalle note di Sciarada di Henry Mancini. La magnifica illusione del cinema è tutta qui.