Peter (Colin Farrell) è un ragazzo orfano cresciuto a ruberie da Pearly (Russell Crowe), che fra una rapina e un’altra trova il tempo di lavorare anche per Satana. Nel 1914 il giovane ormai cresciuto ha però cambiato idea sulla strada da seguire, scatenando la sete di vendetta del suo ex protettore. Nel momento cruciale un angelo in forma di cavallo bianco lo salva da sicura morte e lo conduce alla casa della bellissima Beverly, pallida fanciulla sul punto di morire per consunzione come tutte le eroine angeliche del suo tempo. Naturalmente è amore a prima vista, ma secondo l’idea di un’organizzazione degli umani in portatori di miracoli sempre destinati a qualcuno, questo potrebbe voler dire che Peter può salvare la vita della ragazza e portare un pezzo di felicità in più nel mondo, e Pearly deve assolutamente impedire tutto ciò. Eppure, come rimasto congelato nel tempo, Peter percorre immemore tutto il Novecento arrivando ai giorni d’oggi, per incontrare Virginia (Jennifer Connelly) e la sua piccola bambina ammalata di cancro. Forse il miracolo non si è ancora compiuto? L’emissario di Lucifero non può certo permetterlo. Il Diavolo, per inciso, è Will Smith.
Prendersela con la trama di Storia d’inverno sarebbe prova di cinismo arido, come gettare a mare tutte le fiabe antiche di innamoramenti e salvataggi di belle in pericolo, e benché il film sia in effetti più che altro una favoletta il problema non sta nella sua natura fantasy di angeli, demoni e amanti che combattono la guerra fra Bene e Male, perché di questo sono tessuti i più importanti racconti che fin dall’infanzia hanno contribuito a creare per noi il nostro comune immaginario fantastico. La costruzione dell’atmosfera del film anzi è coerente con il suo contesto, come l’uso sapiente nel racconto della luce frantumata in mille scintille messaggere di avvertimenti per i personaggi, e il richiamo al bianco gelo della notte data la natura della malattia di Beverly, che non può permettere al suo corpo di scaldarsi eccessivamente. Pertanto la fanciulla cammina su neve che si scioglie sotto i suoi piedi, evita il sole, si fa bagni gelidi per contrastare la febbre che l’assale in ogni momento: innamorarsi, per chi non vuole sudare, è però un bel problema.
Il freddo alito che si fa strada sotto lo sguardo della luna sembra però affliggere il film stesso che pare stare in piedi col solo proposito di sembrare, non essere, una bellissima storia d’amore. Quando manca l’anima è facile vedere tutti gli espedienti, le carenze, i buchi narrativi che il pathos dovrebbe celare. Ogni buona storia fantastica richiede allo spettatore la sospensione della credibilità, e se questa non avviene causa impossibilità di dare fiducia a ciò che viene mostrato sullo schermo, allora le iperboli morali, i toni epici o drammatici appaiono ridicole e invitano solo al riso involontario. Jennifer Connelly e Russell Crowe – che, professionale come al suo solito, tenta comunque di fare un buon lavoro – sembrano stazionare sullo schermo come puro atto di affetto nei confronti del Premio Oscar Akiva Goldsman, ex sceneggiatore premiato per A Beautiful Mind nel quale i due attori avevano recitato. Goldsman è stato in passato prolifico collaboratore di Ron Howard, per il quale ha scritto anche Cinderelly Story e i due film tratti dai best seller di Dan Brown, Angeli e demoni e Il codice Da Vinci, eppure passando alla regia sembra non aver recepito l’importanza di far almeno prevalere l’emozione quando in mano non si ha nient’altro. In Storia d’Inverno non c’è molto, ma visto che si parla d’amore, un po’ di vero sentimento non avrebbe guastato.