Ancora con lui, ancora per mano con Andrea Segre, proseguiamo nella nostra scoperta del documentario in Italia. Una scoperta che attraversa in questo momento l’orizzonte oltre lo sguardo del regista veneto, ma che all’interno de I Sotterranei da sempre occupa un posto privilegiato come spunto d’analisi. L’idea di approfondire ciò che fin qui è il frutto del suo lavoro parte da due punti distinti, le cui rette sono pronte ad unirsi in un punto di convergenza fatto della sua poetica: il buon successo e l’assoluta riuscita del lungometraggio Io sono Li e l’assoluta certezza che Andrea Segre rappresenti oggi nel nostro paese un punto di eccellenza nell’ambito del documentario.
Dietro queste ragioni – già sviscerate, ma che insieme alla retrospettiva prendono una forma sempre più consistente e convincente – si nasconde il viaggio che Point Blank sta compiendo, viaggio che approda con oggi – in una delle sue ultime fermate – A Sud di Lampedusa. Un lavoro che rompe delicatamente gli argini di ciò che fin qui abbiamo potuto osservare: non per poetica, non per contenuto, ma è questo un lavoro che potremmo definire un “compendio d’opera”. Di durata inferiore a ciò con cui ci siamo fin qui confrontati, con i suoi 30 minuti A Sud di Lampedusa concentra in maniera lodevole tutto ciò che un viaggio dal Niger fino alla Libia può celare, una traversata in camion, la polvere del Sahara, un motore che non tollera il sole del deserto, la voce di chi è disposto ad affrontare tutto ciò, pur di nutrire la speranza di erigere a partire dalla sofferenza un futuro migliore. Il documentario è diviso in tre capitoli, un viaggio dantesco a ritroso: la partenza come paradisiaca illusione, il viaggio come attraversamento di un purgatorio necessario, l’espulsione come l’infernale risveglio ad un’umanità che non conosce solidarietà. I temi, come subito salta all’occhio, sono i medesimi di Come un uomo sulla Terra, ma a differenza di questo, il viaggio dei Nigerini viene abortito prima ancora di lasciare il continente africano, vittime innocenti di quell’elogio di spietatezza che furono gli accordi tra Italia e Libia per il controllo dei flussi di migranti, gli stessi accordi sugellati dal più bieco dei baciamani, dal più viscido.
Andrea Segre ci dà ennesima dimostrazione che questo è il suo ambiente naturale, che nel caldo del deserto e con l’inglese claudicante di un interlocutore in attesa del suo camion, è in grado di regalarci lavori di sensibilità rara, e per questo più che mai necessaria.