Tenet e il Covid. Una sovrainterpretazione
Il Protagonista, John David Washington, fa il suo ingresso nel tempo invertito e indossa una maschera per l’ossigeno... Una lettura “impossibile” del film di Christopher Nolan.
Il Protagonista di Tenet, John David Washington, fa il suo ingresso nel tempo invertito e indossa una maschera per l’ossigeno: i suoi polmoni in inversione, infatti, non potrebbero respirare aria normale. Questo gesto, questa immagine ne richiama inevitabilmente un’altra dell’oggi, strappata alla cronaca: la maschera di ossigeno dei malati gravi di Covid-19. Nolan inscena l’inversione temporale: e cos’è un virus che diventa pandemia, se non un ribaltamento del tempo lineare, dove tempo va inteso anche come epoca e presente? Leggere il film di Christopher Nolan alla luce del Covid è, ovviamente, sovrainterpretare. È una lettura impossibile. Tenet è stato realizzato ben prima dell’epidemia, e pensato prima ancora (Nolan lo covava da anni), dunque non può in alcun modo rifarsi “concretamente” al nuovo virus. Ma c’è un legame ideale. Il dialogo tra Tenet e il Covid non si svolge infatti sul mero terreno della metafora narrativa, del cinema che riscrive la realtà, bensì nel campo più ampio dello spirito del tempo: è lo Zeitgeist che Tenet coltiva, a cui partecipa, e lo spirito attuale non può che essere virologico.
Nella sua spiegazione da blockbuster medio hollywoodiano, il Sator di Kenneth Branagh risponde alla domanda angolare di Tenet: perché il futuro fa la guerra al passato? L’uomo ha prosciugato i fiumi, dice il villain bondiano di turno, ha alzato il livello dei mari. Potrebbe anche aggiungere: ha diffuso un nuovo virus. Se il tempo lineare era il nostro presente, il Covid è stata la sua inversione: Nolan non ha previsto un virus, ma ha intuito che la cronologia del contemporaneo si può improvvisamente invertire. Ha posto un’ipotesi epocale che si è rivelata “giusta”. Come, si parva licet, fece Nanni Moretti nella rinuncia papale di Habemus Papam. Ma c’è di più: nelle pieghe dell’universo nolaniano, nell’ennesimo oggetto consegnato ai suoi esegeti, si trovano altre sconcertanti tracce dell’oggi.
Perché il Protagonista tiene così tanto alla Kat di Elizabeth Debicki? Perché l’automatismo dello spionaggio si inceppa di fronte a questa donna? Egli è disposto a rischiare tutto, a mettere in discussione, ma non c’è motivo apparente. La possibile love story non sboccia, viene castigata da un bacio sulla guancia. E allora? Allora il mondo nolaniano è affetto dal virus dell’inversione, che può facilmente scatenare una pandemia. Qui il problema è come restare umani, come non lasciarsi divorare dall’ingranaggio meccanico e anaffettivo: Kat diventa quindi per il Protagonista il tampone contro l’indifferenza, egli lo esegue e l’amore è il risultato negativo. L’intreccio con la contemporaneità lo rende un Nolan politico? No, piuttosto un grande autore di cinema popolare: la sua sci-fi può essere a tratti ovvia, perfino palese, può mettere il pilota automatico della battuta mainstream ma si rivela esattamente in tempo. Tenet sta a noi come 1984 di George Orwell stava al totalitarismo, oppure come il capolavoro I reietti dell’altro pianeta di Ursula K. Le Guin conversava con capitalismo e anarchismo, chiamandoli Urras e Anarres. Ma nell’era della post-politica Nolan scarta l’ideologia e si apre all’umanità. A ognuno il suo, con un punto di contatto: sono gli autori di fantascienza che sanno vivere nel proprio tempo, parteciparvi, starci dentro a piene mani. E così il dialogo impossibile tra Tenet e il Covid diviene plausibile e perfino evidente, nel ritratto di un mondo che non sappiamo come sarà domani, e nell’unica consapevolezza che esso rilascia: intervenire nel presente per non far deragliare il futuro. Perché una differenza c’è tra il tempo di Tenet e il nostro: il secondo non concede inversione.