Dumbo
Nella sua rilettura del classico Disney, Tim Burton costruisce uno spettacolo per famiglie autentico e innocente in grado di rivelare la meraviglia del quotidiano.
«Vi ringrazio perché mi avete donato la possibilità di rivivere l'innocenza».
Durante gli ultimi nove anni, Walt Disney Pictures ha scelto di realizzare otto remake in live-action dei propri capolavori animati. Per la seconda volta dopo Alice in Wonderland, Tim Burton torna al timone di un transatlantico costruito con il compito ben preciso di solcare il vasto oceano dell'immaginario degli spettatori più giovani. Anche a causa della necessità di trasformare un film d'animazione di 64 minuti in un live-action di circa 120, in Dumbo, il regista di Burbank non si limita al rifacimento ma persegue una volontà reinterpretativa in grado di impreziosire il risultato finale. Il film di Burton ha le proprie premesse nel cartone animato del 1941 e il proprio motore narrativo nella figura del piccolo Dumbo, l'elefante dalle orecchie enormi che viene preso in giro da tutti. Al di là di un primo atto e mezzo in cui il film deve necessariamente agganciarsi al mito, il resto riesce a delineare abilmente svariate linee narrative nell'ottica di costruzione di uno spettacolo per famiglie in grado di emozionare e commuovere.
La Prima Guerra Mondiale è finita e tutti hanno perso qualcosa. Holt Farrier torna a casa con un braccio in meno. Sua moglie è deceduta e i due figli vivono nell'ambiente del circo di Maximilian Medici, un uomo buono che, grazie alla forza dei suoi sogni, prova a restare a galla in un contesto squallido. Niente è più come prima. La crisi finanziaria in cui versa il circo ha reso necessaria la vendita di due cavalli e Max punta tutto sul nuovo arrivato, un cucciolo di elefante. Tuttavia, il piccolo Dumbo deluderà le aspettative: le sue enormi orecchie gli impediranno di diventare la star degli spettacoli e gli attireranno soltanto insulti. Come se non bastasse, il piccolo viene anche separato dalla madre, riuscendo a guadagnarsi unicamente la simpatia di Milly e il fratellino, i due figlioletti di Farrier. Dietro l'handicap apparente, però, Dumbo nasconde una straordinaria capacità: se stuzzicato da una piuma, l'elefante è in grado di volare. Venuto a conoscenza di questa peculiarità, il furbo imprenditore Vandevere farà di tutto per portare Dumbo nella propria scuderia.
Nonostante i colori sbiaditi e malinconici, si respira levità e leggerezza in questo Dumbo di Tim Burton. A ogni personaggio manca qualcosa e tutti sono un po' tristi e depressi. Eppure, non c'è un singolo acrobata del circo che non provi ad andare avanti, facendo tesoro della famiglia sui generis da cui è circondato. In un contesto del genere, Dumbo è meno protagonista di quanto si possa pensare. Il piccolo elefante è il primo personaggio a lanciarsi nel vuoto e a dare il via ad un cambiamento che investe la collettività, piegata da una guerra appena conclusa e che sceglie di rialzarsi e andare avanti, accettando i propri limiti e i cambiamenti dettati dal tempo.
Più di ogni altra cosa, il film porta in scena il contrasto tra due modi di fare spettacolo, accomunati comunque dall'esigenza di costruire qualcosa di autentico a partire dalle menzogne. È l'esigenza di verità a costituire il cuore pulsante di Dumbo. Per tale motivo, Burton non si limita al rogo catartico finale ma costruisce un happy ending in cui i suoi personaggi sono liberi di mostrarsi per quello che sono, consapevoli di limiti e di difetti, e di dar vita ad uno spettacolo veramente autentico nella sua innocenza. Siamo lontani dai trip psichedelici del giovane Tim Burton. Ma quest'adesione ad un sano e puro spettacolo per famiglie non ha fatto altro che bene a un regista che lotta ancora con le proprie paure e i suoi demoni interiori.