Non è la prima volta che da queste pagine cerchiamo di recuperare capolavori britannici del passato (nemmeno tanto vecchi) con l’idea di rivalutare un tipo di cinema, quello inglese appunto, che ormai sta tornando ai grandi fasti di un tempo. Non è un problema citare il Free cinema nel momento in cui dobbiamo parlare di autori come Shane Meadows e il suo This is England, vincitore del premio speciale della giuria al primo Festival Internazionale del Film di Roma; oppure di Andrea Arnold, autrice di Fish Tank, vincitore del Premio della giuria al Festival di Cannes. Non poco tempo fa abbiamo parlato anche di Steve McQueen e della sua bellissima opera prima, Hunger, capace di riportare alla luce, in modo sublime, gli ultimi giorni di vita di Bobby Sands, esaltando la forza rivoluzionaria delle sue idee e della sua protesta che l’ha portato alla morte.
L’autore sul quale vogliamo porre l’attenzione questa volta non è giovane quanto i tre citati ma, allo stesso modo, è purtroppo ancora poco conosciuto in Italia, nonostante sia considerato uno dei migliori registi inglesi degli ultimi anni: stiamo parlando di Terence Davies, classe 1945, creatore di opere poeticamente potenti quali Voci lontane… sempre presenti (1988), Il lungo giorno finisce (1992), Serenata alla luna (1995) e La casa della gioia (2000). Dopo aver ammirato il suo ultimo lavoro, The Deep Blue Sea, al Festival Internazionale del Film di Roma nella sezione Occhio sul mondo/Focus, ci sembra sia arrivato il momento di parlare di Of Time and the City, magistrale documentario diretto da Davies nel 2008 e mai arrivato sui nostri schermi, televisioni o lettori dvd (per fortuna, come al solito, internet ci dà un grosso aiuto). Il documentario ruota totalmente attorno alla città di Liverpool, nido natale del regista e di altri grandi personaggi del passato.
Quando si pensa a Liverpool sono immediatamente due le cose che ci vengono in mente: la prima (in quanto italiani e amanti del calcio) è la squadra della città, i famosi Reds, seconda società più titolata d’Inghilterra e grandiosa compagine calcistica, sempre rimasta popolare o meglio sarebbe dire “proletaria”, ancora oggi. Sicuramente più di quel famoso Manchester City che ha deciso di rinnovarsi con i soldi arabi dei magnati del petrolio. La seconda cosa che viene in mente è, ovviamente, il gruppo musicale più famoso sulla faccia della terra, i Beatles, i Fab Four, i quattro scarafaggi di Liverpool capaci di conquistare e sconvolgere totalmente il mondo musicale partendo da una piccola cittadina di meno di 450.000 abitanti. Eppure Liverpool è molto di più di un club di football o di un gruppo pop-rock. E grazie a Terence Davies finalmente lo si può scoprire, filtrando la realtà della città attraverso lo sguardo poetico e a volte anche melanconico del regista.
Cosa si può dire di Of Time and the City? Prima di tutto utilizzare la parola usata praticamente da tutti: un’elegia, una vera e propria poesia che descrive la città di Liverpool. Davies passa sapientemente dal bianco e nero al colore, dalla musica classica alle ballate popolari, dal materiale di repertorio a quello girato da lui, così da sottolineare le differenze e le tante similitudini che la città del passato e quella del presente hanno in comune. Liverpool fu una delle città più bombardate durante la guerra, 2500 morti, 11.000 edifici completamente distrutti; città capace di rialzarsi sempre, di combattere, di ricostruirsi, di vivere d’industria e di mare, di rock e di religione, di calcio e di rugby. Davies offre una grande opera, capace di posizionare correttamente ogni piccola sequenza; il suo film, da solo, vale più di una qualsiasi e comune “guida alla città”. Certo è che nelle distruzioni si perde quasi sempre tutto, ma la forza della città è stata anche quella di non accasciarsi, di non tentare un possibile quanto inutile recupero del “vecchio anche se bello”; Liverpool è stata in grado di realizzare qualcosa di migliore ogni volta, dopo ogni caduta. Le cose passate restano tali, ma ciò che verrà non sarà da meno. Lo sguardo di Davies è commovente e diversamente non potrebbe essere: se le tue passioni, i tuoi ricordi, le tue gioie, le tue debolezze e persino le tue sconfitte sono totalmente radicate nel territorio della tua città natale, allora nel momento in cui ne parli non puoi che commuoverti. La bravura dell’autore però è anche quella di riuscire ad includere nei suoi ricordi e nelle suo visioni ogni singolo spettatore, anche se di un’altra città o addirittura straniero. Sembra quasi di sentirsi tutti di Liverpool per poco più di un’ora, grazie anche alla voce over dello stesso autore che, nel commentare le immagini, non si tira indietro nel momento in cui deve citare poesie di Emily Dickinson o Thomas S. Elliot, e sembra vacillare, rotta in una possibilità di pianto, nel ricordo delle serate con gli amici, le scappatelle e il tempo trascorso con la famiglia.
Of Time and the City è davvero un film commovente, da recuperare il prima possibile: un’elegia che ha portato il Guardian a definire Terence Davies come “il nostro più grande regista vivente”. Presentato al Torino Film Festival nel 2008, questo film non è mai stato distribuito in Italia, eppure siamo sicuri che a breve sarà riscoperto e rivalutato, così come è sempre accaduto per la città di Liverpool, la sua capacità di risollevarsi ogni volta, la sua forza, la forza del suo rock e quella della sua squadra di calcio che, forte della potenza storica della propria città, è capace di andare sotto di tre gol e ribaltare il risultato a pochi minuti dalla fine, vincendo poi ai rigori la sua quinta Champion’s League, quella che in passato, ai tempi dell’infanzia di Davies, così ben riproposta nel suo documentario, veniva chiamata semplicemente Coppa dei Campioni.