Torneranno i prati
Nel centenario del primo conflitto mondiale Ermanno Olmi dedica agli uomini coinvolti nella Grande Guerra un film meraviglioso e toccante.
In principio era il tempo. Tempo come carne da cannone. Tempo di corpo straziato, memorie di una testa tagliata. I tessuti recisi suonano le campane a morto dell’ultimo anelito di vita. Si arresta il fluire ematico del tempo.
(Dis)umanità depredata, deprecata, defecata nel tenebroso anfratto della trincea. Taglio straziante e spietato nella tela bianca del manto nevoso assiderante, congelato, del fluire cadenzato della vita umana. Chirurgica, umana incisione nella pelle de anestetizzata dell’ansimante corpo della terra. Luogo dell’attesa, spazio coercitivo di dispersione di vitalità creativa. Luogo non luogo come terra di confine, valico del contrasto e sintesi estraniante della coalescenza di uomo e natura governata da un Dio ubiquo e distante. Un Dio carnificato, quel “Dio infame” che si fa braccio austriaco e carica il cannone dalle linee nemiche, un Dio dal silenzio meditabondo pronto a esplodere in furiose esaltazioni della potenza del fuoco.
In Torneranno i prati di Ermanno Olmi ritroviamo i caratteri precipui del cinema dell’autore bergamasco e, per alcuni versi, li ritroviamo esarcebati. L’opera, ispirata al racconto La paura di Federico De Roberto, racconta il dramma del logorio delle ore e dei giorni passati in trincea ad aspettare che accada qualcosa, il più delle volte la morte, in un continuo passaggio dallo scrutare un orizzonte sempre uguale a se stesso allo scrutare dentro se stessi e scoprirsi deboli, impauriti, soli nel mondo. In questa presa di coscienza non c’è appiglio, non c’è un porto sicuro in cui rifugiarsi. I Cristi e le Madonne de Il tempo si è fermato o de L’albero degli zoccoli restano presenze costanti nelle parole, nelle preghiere e nelle speranze dei personaggi ma, ancora una volta, la risposta divina è antropomorfica e implacabile.
A cent’anni dallo scoppio del primo conflitto mondiale, Olmi mette in scena una storia ambientata in una trincea del nord-est d’Italia durante gli ultimi mesi di una guerra di logoramento che aveva segnato il traumatico inizio del secolo breve. Il carattere intimista e al tempo stesso fortemente collettivo – segno distintivo della poetica del regista– si esprime con gran dispiegamento di mezzi in Torneranno i prati, nel quale il conflitto esautorante e letargico della guerra di trincea viene portato sullo schermo come viaggio introspettivo e labirintico nei meandri della coscienza individuale e collettiva. Un viaggio in cui il tempo si è fermato (ancora una volta) ed è divenuto materia organica, da distendere e sezionare, e che trova incarnazione nei soldati e nelle loro esistenze in attesa. Un’attesa scioccante, indegna, ineluttabile; in quanto tempo immobilizzato, potenzialmente perpetuo. Esistenze dimenticate da Dio e falcidiate dagli uomini, che le porta a trovare pace del loro inferno personale (e collettivo) nell’immolazione, nell’estremo atto del suicidio, letale atto di riacquisizione del proprio arbitrio.
La fotografia, curata da Fabio Olmi (figlio del regista), si presenta in un alternarsi di temperature glaciali e di tenui e caldi chiaroscuri proiettati dalle candele della trincea, e sembra segnare il passo di quel percorso introspettivo segnato dalle epifanie, più o meno disturbanti, che questa discesa negli inferi ha evocato.
La guerra di trincea appare dunque come un pretesto, o meglio, è presa in esame in quanto universo estremo in cui la temporalità viene esperita come stasi, in cui l’uomo è posto di fronte allo incontro/scontro con l’altro, con la natura, con Dio e, soprattutto, con se stesso. E queste tematiche sono terreno fertile per la fervida autorialità di Olmi.
Non è tanto nel carattere di monumento alla memoria dunque, quanto nell’intensità con cui mette in scena le dinamiche descritte sopra che Torneranno i prati acquisisce potenza e importanza, e si delinea come una delle più appassionate analisi del sentire umano, nel suo dispiegarsi nel tempo tra Storia con la s maiuscola e storia con la s minuscola.