Tutte contro lui
Nick Cassavetes conferma la natura disimpegnata del suo cinema, il più possibile lontana dalle orme paterne

Avvenente donna in carriera, Carly pare che abbia tutto. Un ottimo lavoro, uno splendido aspetto, un elevato status sociale. Le manca solo una cosa, il principe azzurro. A sopperire al tragico vuoto cade dal cielo il bel Mark, il classico uomo troppo bello per essere vero. E infatti vero non è, tanto che dietro le sue promesse e i suoi impegni si nasconde la tresca truffaldina dell’uomo sposato in cerca d’avventure. La scoperta per Carly non è delle più felici, ma l’incontro-scontro con la moglie legittima, Amber, porterà ad una curiosa alleanza vendicativa che troverà il suo completamento con Lyndia, la terza giovane amante dell’impegnato Mark. Per lui si prospettano giorni infelici.
Che Nick Cassavetes non fosse interessato a seguire le orme paterne era chiaro da decenni, e in fondo anche lecito. Il problema è che tra il cinema militante del compianto John e la totale arrendevolezza di un film come Tutte contro lui ci passano tutte le gamme del cinema più o meno commerciale, più o meno inserito in aride logiche produttive, per arrivare alla fine al prodotto più anonimo e mainstream possibile. In Tutte contro lui Cassavetes rinuncia ad ogni cosa, ad ogni possibile velleità per limitarsi a portare a casa con uno stile piatto e televisivo una commedia spesso mal scritta tirata su soltanto dalla verve di Cameron Diaz e qualche battuta particolarmente riuscita. Per il resto quella come poteva essere una gustosa vendetta femminile al vetriolo si rivela una commediola con la cattiveria all’acqua alle rose, in cui la rivalsa di genere si limita a qualche escamotage dagli intenti scatologici incorniciato da una stucchevole insistenza sulla ricerca del principe azzurro. Così si respira davvero poca libertà nelle gesta di Carly, Alber e Lyndia, che riescono sì a vendicarsi di Mark senza però mai perdere di vista quello che pare essere l’obiettivo ultimo della faccenda, acchiappare l’uomo perfetto. Sono lontani allora i tempi di She-Devil – Lei, il diavolo, che tra i tanti limiti non difettava in cattiveria. E’ proprio quest’assenza il limite principale del film, che invece di pestare il pedale dello humour nero si impegna a rincorrere la buffoneria farsesca a tutti i corsi, la soluzione più ridicola e facilona invece che caustica. Emblema della faccenda è la recitazione insopportabilmente sopra di righe di Leslie Mann, musa e moglie di Judd Apatow qui impegnata a rendere il suo personaggio una maschera patetica e lacrimosa che dovrebbe forse divertire ma che invece non può che suscitare il desiderio di uscire di corsa dalla sala.