Una notte con la Regina
Julian Jarrold porta la favola Disneyana nella Londra festante del ’45 dopo la vittoria sui nazisti. Goffa quanto perennemente in bilico tra rimandi alla contemporaneità e finzione cinematografica.
Un cinema incline al sogno. Tanto nella narrazione convulsa (tratta da un fatto vero ma innervata di siparietti comici presi dalla ’farsa’) quanto per intrattenere il suo principale pubblico di riferimento (le signore over-forty) fra rimandi alla contemporaneità e finzione. E’ la fiaba dal sapore disneyano che Una notte con la Regina mette in scena come un divertissement immaginifico e per certi versi nostalgico, talmente ben congegnato da l’essere contagioso pur nella rispettosa fedeltà alla monarchia britannica. Perché la sera dell’8 maggio 1945, giornata della vittoria degli Alleati contro la Germania nazista, fu la notte di una Londra riunitasi in un unico abbraccio con la sua gente, tra la vita pulsante nelle strade e festeggiamenti liberatori senza fine. Una notte magica - oberata dalla voglia di vivere appieno quella gioia incontenibile - a cui parteciparono anche Elizabeth e Margareth Windsor, le due figlie del re d’Inghilterra, scortate nelle stanze dell’Hotel Ritz per ballare assieme ai decadenti reali. Ma i fatti, si sa, procedono diversamente quando si tratta di una favola, e la ’ricostruzione’ prende la strada della commedia romantica e sofisticata, dove ogni celebrazione restituisce l’immagine immacolata di una famiglia reale sempre intimamente vicina al suo popolo. Non guasta che, lungi da risultare organico in alcuni passaggi, lo script di Kevin Hood e Trevor De Silva si abbandoni a licenze poetiche con poche pretese né grandi profondità, cedendo al fascino della futura regina che ne usa lo statuto per giocare sulle possibilità di equivoci o scambi di persona. Rapiti dall’ingenuità delle principesse, l’avventura pone uno sguardo teneramente naif ai loro excursus notturni, le insegue rigorosamente in incognito fra girandole e bassifondi, case regali e bordelli clandestini; tutti fili narrativi che danno l’impressione di una gaia confusione, pregna di emozioni forti, alla ricerca dello spirito di una Nazione che ha sofferto e pianto i suoi caduti in battaglia.
Fulgido nell’omaggiare la screwball comedy anni ’50 di Vacanze Romane, Julian Jarrold (gli si devono, in passato, Becoming Jane sulla vita di Jane Austen e Ritorno a Brideshead dal romanzo di Evelyn Waugh) anima di un sentimento tutto inglese lo stile e l’atmosfera volutamente retrò benché colorata dalla spiccata sensibilità contemporanea: la dimensione umana pervade le piazze londinesi, laddove non mancano di affiorare certe tensioni sociali come l’ingiustizia delle classi più disagiate o le ostilità verso l’aviazione inglese, tanto da assecondare un ritratto non privo di zone d’ombra. Incantevolmente british su fondali storici, dai saloni di Buckingham Palace all’apoteosi popolare che il film recupera da immagini in bianco e nero, Una notte con la Regina finisce presto col trascinarsi nel più romanzato degli sliding doors sentimentali. Ogni eroica incoscienza nasconde sempre la più turbolenta piega che scalda il cuore; se poi l’angelo avrà il volto di un aviere dissidente, disgustato dalla guerra, allora tutto acquisterà il senso di un proverbiale ’amore impossibile’ che solo l’addio ineluttabile renderà in magia anche un fuggevole bacio. Socialmente inconciliabili, Elizabeth (Sarah Gadon) e Jack (Jack Reynor) sono le bollicine zuccherose che girano sulla giostra del divertimento, si rincorrono e si innamorano, fino a quando la vera identità dell’una (regia) verrà svelata all’altra. Schermaglie amorose di un fantastico cinematografico che prende vita nella geografia di una città vestita a festa, briosa e libera di esternare luci e colori, figure archetipe ed invenzioni sceniche.
D’altra canto, Jarrold è astuto a comporre la sua Storia ’rivisitata’ con forme di fruizione efficaci, con tale gusto per l’esagerazione da richiedere fin da subito una totale sospensione dell’incredulità. Una vivacità intrinseca alla sceneggiatura che non porta certo a sfruttare tutte le potenzialità del racconto, ma sembra interessare poco o nulla al regista inglese. L’anima vera, perseguita dentro l’apologo romantico, è quella corroborante di un sogno lungo una notte, un atto d’amore nei confronti di Londra al grido caloroso di God save the Queen. Ne deriva una realtà lontana, appena verosimigliante e di penetrante devozione patriottica. Che la recitazione aperta della composta Emily Watson (nei panni della regina) e di un Rupert Everett imperturbabile re Giorgio VI, fa risuonare al pari dell’innegabile grazia portata dal regno più longevo di sempre. Perfettamente in linea con un’opera goffa, mai volgare e surrealmente educata.