Under Electric Clouds
Un film di smarrimenti e macerie in cui la Storia è un cristallo innevato che genera ripetizioni e giri a vuoto, ma forse oltre la crisi d'identità e la perdita c'è ancora possibilità di ricominciare.
Ogni passaggio di millennio ha la sua apocalisse, le sue correnti di pensiero impegnate ad interrogarsi sul concetto di fine. Tra quelle che accompagnarono il chiudersi del Novecento riscosse particolare successo la teoria dell’economista Francis Fukuyama, secondo il quale l’umanità aveva raggiunto al termine del XX secolo l’apice del proprio sviluppo economico, politico e sociale. Era la “fine della storia”, determinata soprattutto dal collasso dell’Unione Sovietica e dalla vittoria dell’occidente nella Guerra Fredda.
A riprenderla adesso tale prospettiva appare ingenua e semplicistica, tuttavia il pensiero di Fukuyama nasce da un senso di perdita che è impossibile non ritrovare oggi nel nostro vivere quotidiano: con il muro di Berlino non è andato giù soltanto un equilibrio bipolare figlio di un’altra epoca storica, ma anche un’impalcatura sociale, culturale, valoriale che dava comunque forma e identità alla sua contemporaneità. La condizione di oggi invece è dominata da un senso di caos liquido, all’interno del quale è difficile tanto leggere ciò che ci circonda tanto viverlo attraverso strutture di pensiero forti. Sembra di essere tornati all’era del dubbio, al senso di confusione e smarrimento perenne di chi cerca di ritrovare la sua strada ma attorno a sé ha soltanto steppe innevate e macerie, una desolazione post-apocalittica nella quale giacciono come giocattoli abbandonati i simboli e le rovine del mondo di un tempo.
Ambientato nel 2017, a cent’anni esatti dalla Rivoluzione d’Ottobre, Under Electric Clouds di Aleksei Alekseivich German (meglio noto come Aleksei German Jr.) è un film corale che guarda con evidenza alla fine della storia e al senso di perdita che ne deriva, tanto a livello nazionale quanto a quello universale.
I suoi personaggi, disseminati in sette capitoli intrecciati tra loro, ruotano tutti attorno ad un grande terreno edificabile, risorsa economica formidabile che ospita neve, sassi e un colossale palazzo abbandonato, grandioso progetto di architettura incompiuta di cui resta oggi soltanto lo scheletro, intreccio di travi d’acciaio e pilastri di cemento che fa da protezione e rifugio a tutti i senzatetto che abitano la zona altrimenti deserta. In particolare al centro delle linee narrative German Jr. pone il personaggio di Sasha, giovane figlia di un grande imprenditore morto da poco e accusato adesso di essere un truffatore. Suo è il terreno, suo il palazzo o quel che ne rimane, sua la decisione di cosa farne.
E’ facile leggere in questo scenario la volontà da parte di German Jr. di mettere in scena il modo in cui la sconfitta storica e la crisi post-ideologica che ne consegue si riflettano nella vita errabonda dei propri personaggi, emanazioni dirette di un collasso dell’identità dovuto ai peccati dei padri.
Come se la Storia fosse una spirale intrappolata in sé stessa, i protagonisti di Under Electric Clouds cercano come possono una via di fuga alla propria stasi, ma tutte le loro azioni sembrano comunque ritornare al campo innevato che li contiene tutti, sede teatrale di un’attesa beckettiana vissuta da chi spera di poter assistere alla ripartenza della Storia e con lei della propria vita. Il tempo per German Jr. diventa una trappola, un cristallo innevato che genera ripetizioni e giri a vuoto, perché nessuna svolta propulsiva sembra potersi innescare senza un pensiero forte che costruisca una struttura collettiva. Atomizzati e persi, questi personaggi si toccano tra loro con storie che non si sigillano perfettamente, non tutto torna e alcuni passaggi sembrano anche gratuiti, ridondanti, troppo esposti a quel rischio di didascalia che attraversa sottopelle tutto il film. Anche la stasi narrativa a volte diventa vera claustrofobia, soffocamento all’interno di un’opera che si nutre anche di una cornice formale ricercatissima. Nella loro bellezza tutti gli elementi di Under Electric Clouds vertono verso la stasi più glaciale, un’estetica algida e disperata, ma se si ha la forza di seguire il convergere di tutti i fili narrativi German Jr. ci conduce alla fine alla liberazione agognata, a quella possibilità di ripartenza regalata a noi e ai suoi personaggi. Una palingenesi russa e universale assieme che nulla ha a che fare con il pensiero forte brutale e cieco dell’attuale governo di Putin, ma una risposta alla medesima crisi che passi piuttosto per la riscoperta dell’umanità e della solidarietà tra gli uomini.