Voci nel tempo

Attimi di generazioni rincorse nei sussurri di tempo di una vita intera

Dalla nascita del mondo alla nascita dell’uomo. Il cinema di Franco Piavoli fa della ciclicità un’espressione personale ed allo stesso tempo universale, per certi versi cosmica, intesa nella sua accezione più onnicomprensiva dello stato naturale delle cose e delle persone. Condivisibile in quanto quell’«alfabeto perduto della realtà» si compone di tutti gli idiomi, comprensibili, udibili, significanti. Sembra che il cinema, quello appartenente allo stato di un reale sintetizzato nel suo valore primordiale, puro in quanto materia disarcionata dalla forma che offusca la limpidezza dello sguardo, non sia mai esistito prima che un regista come Piavoli abbia iniziato a riprenderlo. Qui il reale è sinonimo di vero. Di un cinema che è presente, è passato ed è futuro. Sguardo sul mondo. Ciclico come ogni aspetto dell’umanità, presente come la sua sostanza. Sguardo senza alcuna influenza, unico perché sincero, unico perché indivisibile. Uno spettro che si frappone tra la realtà e l’idea come un tessuto smagliato, dalla trama larga, che non lascia trasparire la tessitura che lo compone. Il mondo ebbe inizio dall’acqua e di seguito inizia a narrarsi una storia, il racconto del pianeta azzurro. Parole senza una forma ma cariche di significato diventano racconto, epopea omerica, inizia il viaggio dell’Uomo nel tempo. Ed è così che iniziano le sue stagioni.

Fasi della vita che coincidono con il racconto delle diverse realtà di un piccolo paese. In intervalli diacronici cadenzati dalla notte, il paese di Castellaro si sveglia un mattino che coincide con l’alba gioiosa, carica di risa e di ingenui giochi di alcuni bambini. La messa ha inizio e con essa la morte più solenne, la morte dei grandi in contrapposizione al gioco affettuoso, al rotolare di un pallone rincorso e lanciato. Il bambino diventa così ragazzo tra sguardi d’interesse e scopre la propria sessualità. Balla, corteggia, si lascia trasportare da una danza sessuale, si innamora ed infine si sposa. Le mura del paese sostituiscono la natura, la gamba slanciata e giovane diventa bastone. S’invecchia e la vita diventa ricordo. Basta un canto, un sogno e tutto si allontana dalla realtà. Diventa rimembranza, solitudine, spazio dove la memoria possiede più spessore della realtà stessa. Diventa morte senza cadere nell’oblio. Non è fine ma nuovo inizio. Ciclicamente morbido.

Il cinema di Piavoli è una carezza data con il dorso della mano. Delicata eppure forte. Il tempo è mutevolezza senza fine, è il racconto di un cambiamento che parla dell’uomo e del suo habitat. E’ nascita, è crescita ed è stasi, è morte e caldo, è Agosto prima di un soffio di vento. Il cinema di Piavoli non vuole trascendere il reale, cercare di leggerlo per capirlo, per dimostrarlo. Non vuole ingabbiarlo costringendolo ad una esposizione del suo stesso esistere. Il suo cinema è sacra rappresentazione laica. E’ la totalità che si tramanda senza un narratore. E’ come la preghiera di un contadino, saggia perché sa ascoltare prima che esporre. Tende l’orecchio e il suono del reale diventa musica di sottofondo, tende l’occhio e l’immagine diventa ritratto, tende il palmo e tocca la sostanza del creato. Una sinfonia lirica e realista, ontologicamente italiana, come italiane sono le opere di una letteratura per certi versi ispiratrice, precursore di un metodo di linguaggio che riesce a nascere dal di dentro del reale, come le fin troppo dimenticate letterature di un Vassalli o di un Invrea. E’ poesia sciolta e libera che ci ricorda della bellezza che risiede dietro al gesto quotidiano. Piavoli parla la lingua universale, è fonetica senza uno scopo, rappresentazione senza un fine, poesia senza un poeta. E’ vita vissuta e vera rapita da un otturatore e restituita in fasci di luce, attraverso il medium che più gli si addice.

Avvicinarsi al suo cinema è riconoscere se stessi attraverso le proprie tradizioni, il proprio habitat che diventa un palcoscenico grezzo dove mostrarsi. Uno specchio dove riflettersi, dove sentirsi in comunità con il mondo, parte integrante di un meccanismo perfetto, costruito intorno a noi e che si costruisce di noi. Il nostro sguardo, nel suo, per non sentirsi mai soli.

Autore: Giorgio Sedona
Pubblicato il 15/07/2016

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