Prosegue il nostro breve viaggio attraverso il mondo della docu-finzione indipendente di Alina Marazzi. Dopo Un’ora sola ti vorrei, sua opera prima, si continua con Vogliamo anche le rose, film del 2007 che riprende la tecnica già utilizzata dalla Marazzi nel suo precedente lavoro, ovvero il collage di materiale di repertorio finalizzato alla realizzazione di una storia inedita. Stavolta non si tratta più, naturalmente, di documenti privati come foto, lettere e filmati di famiglia, bensì di interviste, inchieste televisive, spezzoni di programmi, servizi e documentari.
La storia è una, quella della lotta per l’emancipazione femminile e dell’affermazione dell’identità sessuale, ma è divisa in tre diverse testimonianze: i diari di Anita, di Teresa e di Valentina. Ognuna di loro ha affrontato, tra gli anni ’60 e i ’70, la grande rivoluzione dei costumi in atto, ognuna a modo suo, con i suoi dubbi e le sue frustrazioni. Anita vive il ’68 con la paura della propria sessualità, incapace di lasciarsi andare serenamente alle esperienze che tutti i suoi coetanei stanno scoprendo in quel momento storico di sfrontata libertà. Teresa è rimasta incinta in un’Italia in cui l’aborto è ancora illegale. Acquisirà dunque una nuova consapevolezza rispetto ad una libertà a cui aspirava solo indirettamente, comprendendo quanto sia importante lottare per l’effettivo raggiungimento dei propri obiettivi. Infine Valentina, che vive una storia d’amore in un periodo diverso, ovvero la fine degli anni ’70, in cui la parità tra uomini e donne sembra ormai essere stata raggiunta, finirà col convincersi che la definizione di ruoli, all’interno di una coppia, è assolutamente insignificante.
Dall’insieme di queste vicende, raccontate attraverso immagini sia note che inedite, emerge un quadro molto chiaro della generale confusione che il movimento di rivolta trascinava dietro di sé: alle irrinunciabili priorità giustamente rivendicate dagli studenti (uomini e donne insieme), seguiva immancabilmente la comparsa di nuovi stereotipi, adottati in massa da una moltitudine di anime ribelli talmente occupate a cambiare ogni cosa da dimenticare quasi quale fosse il punto di partenza. Così delle ragazze a una manifestazione si ritrovavano a rilasciare ad un intervistatore parole di biasimo per i propri compagni maschi, affermando quanto squallido potesse essere diventato un movimento nel quale “sei una piccolo-borghese se non la dai a tutti”. Ecco perché l’ultima delle protagoniste si ritrova a dire che entrambi i sessi sono usciti sconfitti dalla rivoluzione giovanile. Cosa è stato davvero raggiunto se uomo e donna non riescono ancora a trovarsi nell’intimità del proprio rapporto, a riscoprire dove finisce la semplice ed egoistica libertà e inizia la felicità condivisa dello stare insieme? Eppure il suo compagno la aspetta, quando lei lo lascia nel cuore della notte per discutere di una situazione urgente con le compagne del movimento. Sarà uno scherzo, fatto con un falso biglietto al suo ritorno, a convincerli a lasciare da parte il “gioco dei ruoli” della coppia, per dedicarsi esclusivamente l’uno all’altra.
Si uniscono qui, nel limbo a metà tra la conquista dell’indipendenza e la ricerca di una propria ed intima libertà, le storie di queste tre donne, che potrebbero sembrare il frutto della mente di una nostalgica autrice (i diari portano i nomi delle attrici che li leggono, nell’ordine Anita Caprioli, Teresa Saponangelo e Valentina Carnelutti). In realtà i testi provengono dalla Fondazione Archivio Diaristico Nazionale di Pieve Santo Stefano, e rappresentano dunque una fonte autentica di quel periodo.
Rispetto all’opera precedente della Marazzi, in questa troviamo l’uso di grafiche e titoli decisamente ricercati (opera di Cristina Diana Seresini). Il tutto acquista un leggerissimo tono patinato che non sminuisce il valore dell’opera, che potrebbe sembrare, tutto sommato, un grande spot-documentaristico sulla storia del femminismo. Da citare, infine, la MIR Cinematografica, casa di produzione fondata da Gianfilippo Pedote e Francesco Virga con l’intento di realizzare documentari sulle tematiche dei disagi odierni, responsabile, prima che della produzione di Vogliamo anche le rose, anche di quella di Fame chimica (2004) e Un’ora sola ti vorrei (2002).