Alina Marazzi torna dietro la macchina da presa dopo cinque anni da Vogliamo anche le rose e dieci da quel documentario che la catapultò nel cinema documentaristico che conta, Un’ora sola ti vorrei. L’occasione della presentazione di Tutto parla di te, presentato nella Sezione CinemaXXI, offre un ulteriore spunto d’interesse per soffermarsi sulla filmografia dell’autrice milanese, giunta al Festival di Roma con un’opera ibrida, a metà strada fra documentario e finzione.
Tutto parla di te narra le vicende di un centro di maternità, dove giovani donne si incontrano. Chi per parlare ed esercitarsi in favore della vita futura che portano ancora in grembo, chi invece per dialogare con esperti circa le problematiche post parto che simili eventi possono determinare. In questo centro torinese opera Pauline, anziana donna tornata in Italia dopo molti anni. Qui, fra le tante donne che popolano la struttura, la donna prende particolarmente a cuore la vicenda di Emma, giovane ballerina in attesa del secondo figlio la cui storia pare avere delle attinenze con quella passata di Pauline.
Alina Marazzi propone un’opera dicotomica, che offre e rivendica una dualità non risolta fra finzione e documentario. I paesaggi umani sono quelli cari alla Marazzi, incentrati cioè sulla memoria, sul ricordo, su traumi familiari e di grande crucialità morale. La Marazzi si confronta con la possibilità di narrare uno fra gli eventi più importanti e delicati della vita di tutti noi e in particolare delle donne, cioè il concepimento e il rapporto che si va ad instaurare fra la madre e il neonato. Nel farlo la regista sceglie la via più articolata ma intellettualmente più stimolante: oltre gli idilliaci e noti rapporti madre-figlio esistono mondi sommersi di conflittualità lacerante fra i due soggetti, dove le madri – pur con tutto l’amore del mondo – arrivano a compiere gesti disumani nei confronti dei bebè. Su queste idiosincrasie la Marazzi investiga, offrendo allo spettatore uno spaccato tanto vero quanto poco conosciuto. Lo splendore dell’opera risiede tutto qui: la regista riesce a tenere assieme in quel luogo morale che è il rapporto madre-figlio tutto il creato, nelle sue versioni più candide e in quelle più mostruose. Lo spettro che la Marazzi offre è esaustivo e autosufficiente, in grado di raccontare mondi interi che caratterizzano le donne protagoniste.
In un film tanto corale quanto intimista, la regista di Per sempre azzarda in maniera encomiabile la composizione drammaturgica proponendo un’opera che è a metà strada fra fiction e documentario ma che non vuole essere mai queste due cose assieme. Il lungometraggio in questo suo intento non amalgamante offre grandi spunti poetici eppure alla lunga questa soluzione di continuità andrà a segnare anche i limiti di Tutto parla di te: il film non riuscirà a trovare una sua strada lasciando che le tematiche indugino troppo prima di risolversi. In questo temporeggiare la dicotomia evidenzia i suoi limiti, propri di un’opera che volendo essere bifida non riesce però a risolversi.
La Marazzi si conferma comunque una fra le documentariste più importanti d’Italia, quella che meglio di altri riesce a scandagliare gli infiniti e drammatici rapporti che intercorrono fra l’uomo e la memoria, fra l’individuo e l’intimità, tra i frammenti d’umanità e il mondo che li popola.