The Void

Gillespie e Kostanski confezionano un horror sfacciato e orripilante, resuscitando un cinema viscerale e sanguinolento che pareva ormai sparito

Pare sospeso nel tempo, un film come The Void. Così intriso di quell’estetica e di quel gusto per l’orrido tipici di tanto cinema anni 80 (ma anche 70) da essere un prodotto di sicuro interesse per tutti gli appassionati del genere.

Come un ideale ibrido tra Distretto 13 e La Cosa, il film diretto dai registi Jeremy Gillespie e Steven Kostanski – già responsabili agli effetti speciali per molti successi recenti (Suicide Squad, It) – è un trionfo prostetico e orripilante dove l’orrore diventa tangibile e il Male, pronto a insinuarsi nella tranquillità della provincia statunitense, acquista le tinte tattili di una degenerazione cronenberghiana. C’è molto body horror – tra le altre cose – in The Void, una strisciante e insinuante mutazione genetica che passa con disinvoltura dallo Shivers del regista canadese agli incubi di Carpenter, fino a varcare la soglia di quell’immancabile e tentacolare universo lovecraftiano già preponderante nell’immaginario dell’autore de Il signore del Male.

E se è proprio quest’anima liminale e metafisica a gettare un indubbio fascino sull’opera del duo statunitense (nonché a regalarci un paio di suggestive trovate visive), è pero nella sua parte smaccatamente e orgogliosamente da b movie che il film acquisisce maggior forza e tensione.

In un piccolo pronto soccorso in dismissione assediato da misteriose figure incappucciate, tra personaggi ostentatamente bidimensionali (dallo sceriffo Aaron Poole ai riluttanti comprimari Kathleen Munroe e Kenneth Welsh), un misterioso virus che tramuta le vittime in creature deformi e un immaginario schizofrenico fatto di esoterismo, deliri multidimensionali e scienziati pazzi, va così in scena un anomalo zombie movie (non mancano, anche qui, i doverosi omaggi a Romero e Fulci) caotico e imprevedibile che disdegna qualsiasi pausa o tempo morto in favore di un ritmo incalzante che fagocita lo spettatore, trascinandolo con sé per stanze e sotterranei, fino al disorientante climax finale.

Poco contano allora gli innegabili buchi di sceneggiatura e una struttura debole e pretestuosa che passa come un carro armato sopra personaggi, motivazioni e problematicità. The Void ha il sapore gretto e genuino di un film lontano anni luce tanto dall’horror psicologico e riflessivo quanto dall’operazione nostalgica e codificata, forte di un orrore che, contro tutti e tutto, non ha paura di mostrarsi in tutta la sua forza vintage, pornografica e disgustosa.

Autore: Mattia Caruso
Pubblicato il 14/12/2017

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