Volevo essere un Punk è la terza opera cinematografica del regista Simone La Rocca, un filmmaker che Point Blank ha già avuto modo di notare e recensire grazie ai suoi due precedenti lavori: The Slurp – Gli strani supereroi e Motel. Con Volevo essere un Punk il regista La Rocca si cimenta stavolta con un diverso genere cinematografico; non più il film-fiction di The Slurp e Motel, bensì il genere documentario. Spesso e volentieri i titoli delle opere cinematografiche sono allusivi e fuorvianti, ma stavolta non ci troviamo certo di fronte a uno di questi casi poiché, come si evince bene dal titolo, questo documentario tratta proprio l’argomento “Punk”, inteso come genere musicale derivato dal rock ‘n roll.
Il terzo lavoro di La Rocca indaga e scava nella realtà e nella nascita della scena punk rock romana partendo dai lontani anni Settanta fino ad arrivare ai giorni nostri. Volevo essere un Punk è un’opera che cerca di dare spazio e risalto a una scena musicale che è prettamente underground, e che di conseguenza è poco o niente conosciuta dalla grande massa o dal medio pubblico consumatore abituale di musica, che usufruisce della più nota musica pop convenzionata e sponsorizzata da circuiti ben più noti, ricchi e pubblicizzati. Tuttavia di questa realtà, cosiddetta di nicchia, ne sono più consapevoli di noi gli stessi musicisti (o ex-musicisti) che senza formalismi o fronzoli di alcun tipo tendono a sottolineare che “col punk nun se magna”, a riprova del fatto che la scena punk romana era ed è ancora povera di ritorni economici adeguati.
Difatti la maggior parte degli artisti intervistati è ormai fuori dalla scena musicale, o comunque è costretta a fare un altro lavoro, proprio per il fatto che all’epoca nessuno di loro era legato a discorsi di “etichette” di produzioni musicali e che di conseguenza i guadagni non erano sufficienti a poter permettere ai giovani artisti di campare di solo Punk. Il documentario di La Rocca riassume le testimonianze di coloro che hanno creato le basi, le fondamenta della scena Punk Romana verso la fine degli anni Settanta; come i Luxfero, i Klaxon e i Bloodyriot. Tutti “ragazzi” ormai oltre la quarantina, che rievocano con piacer i ricordi del passato e delle vecchie incisioni, rigorosamente autoprodotte, che hanno contribuito alla nascita di qualcosa che prima di loro non esisteva neppure. Nostalgico il contrasto che il regista crea tra la Roma odierna e quella di trent’anni fa, dove i giovani ragazzi si incontravano nei loro luoghi di ritrovo, per la maggiore oramai tutti cambiati o modificatisi nel tempo. Un tuffo in un’epoca ormai passata e da molti dimenticata, in cui lo storico o -se vogliamo – epico cinema-teatro “Espero” di Montesacro, che ospitò a fine anni Settanta il primo assoluto concerto Punk romano è ormai “regredito”, artisticamente parlando, a una più fruttuosa sala bingo.
Per chi amasse il genere musicale qui indagato, Volevo essere un Punk rappresenta davvero una perla rara, un documentario ben strutturato che fonde insieme passato e presente senza però distaccarsi troppo dalla realtà odierna, dall’attuale scena punk-rock romana e cadere in inutili e deleterie retoriche nostalgiche. In ultimo va sottolineato che, a detta dello stesso regista, questo lungometraggio può essere considerato come il capitolo conclusivo di una sua personale “trilogia del rock”; dove la musica è il filo conduttore che riunisce in una stesa chiave di lettura The Slurp– Gli strani supereroi, Motel e quest’ultimo Volevo essere un Punk.